Era il 2014 quando Il Metropolitano scriveva questo articolo.
Si evidenziava che c’era una data, raccontando la storia di Alex Zanardi, dalla quale non si poteva non partire, perché aveva segnato il confine tra ciò che era stata la sua vita fino ad allora e ciò che è diventata dopo.
Quella data era il 15 settembre 2001.
Nel corso della prima gara europea della Formula CART, circuito di Lausitzring (Germania), a pochi giri dalla fine, Zanardi perdeva il controllo della sua Reynard – Honda finendo di traverso in mezzo alla pista proprio nel momento in cui sopraggiungeva, a 300 km/h, Alex Tagliani.
L’impatto fu terribile.
Salvo per miracolo, dopo tre giorni di coma farmacologico, Alex si ritrovò a dover trascorrere il resto della propria vita senza entrambe le gambe.
Oggi c’è un’altra data dalla quale non si può prescindere scrivendo di Alex Zanardi. Quella del 19 giugno 2020.
Un altro incidente. Altri giorni di trepidante attesa prima che i medici possano sciogliere la prognosi e pronunciarsi sul suo destino.
Mentre la procura di Siena valuta se vi siano responsabilità o meno da imputare all’autista del tir che, sulla provinciale 146 tra Montalcino e Pienza, l’ha investito o se lo scontro sia da imputare a un errore umano, un guasto meccanico o perfino alle modalità logistico-organizzative stabilite per la staffetta Obiettivo Tricolore, ideata da Obiettivo 3, fondato dallo stesso ex pilota di Formula 1 per “dare un segnale di rinascita al Paese duramente colpito dall’epidemia di coronavirus”, Metropolitano.it ripropone l’intervista che sei anni fa Alex Zanardi ha concesso. Lo presentavamo come simbolo ed esempio positivo di forza, coraggio, determinazione.
Uno sportivo vincente a prescindere. E’ l’augurio che gli facciamo oggi, in attesa del suo risveglio.
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Alex, in una tua recente intervista hai detto che “nella vita si finisce per essere ciò che si desidera essere”.
Tu lo sei diventato?
«Io cerco di muovermi in quella direzione. Ho sempre cercato, sportivamente parlando, di essere “leone per un giorno” e di vivere alla giornata, anche se nulla impedisce il giorno dopo di provare a essere ancora “leone”. In fondo, bisogna prendere ogni momento come una nuova occasione per costruire qualcosa e io tento di farlo. Quando la gente mi ha visto volar via su un elicottero con meno di un litro di sangue in corpo e mi dava per morto, ma poi mi ha rivisto, un anno e mezzo dopo, sullo stesso circuito a far le cose che facevo prima, ha gridato al miracolo. In realtà, fu la conclusione di un percorso fatto di piccoli passi e di piccoli traguardi, in cui di “magico” c’è ben poco».
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È per questo che oggi il tuo esempio è per molti uno stimolo a superare i propri limiti?
«La disabilità crea soprattutto un disagio di carattere psicologico, prima ancora che fisico. Non pensi a che cosa puoi fare nella tua nuova condizione, ma alle cose che non puoi più fare. Questo è il vero limite. Se per qualcuno il mio esempio funge da stimolo a superarlo, ne sono lusingato, ma non mi sento un modello per nessuno».
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Il Veneto è diventata la tua terra d’adozione ed è stata spesso una tappa importante dei tuoi successi sportivi: a Treviso hai vinto i tuoi primi campionati italiani di handbike, alla Venice Marathon la fai spesso da padrone e a Padova, dove vivi, c’è la Maratona di Sant’Antonio, alla quale sei particolarmente legato. Parlaci del tuo rapporto con questo territorio…
«In Veneto mi sono stabilito per amore. Nel 1989 correvo in Formula 3 per una squadra che aveva sede a Padova e il direttore sportivo era quella Daniela, che in seguito è diventata mio manager e che, come dico scherzando con i miei amici, poi ho sposato per risparmiare sullo stipendio. Ma qui in Veneto ho dato anche una svolta alla mia carriera di pilota. Nel 1991, grazie ad una squadra che aveva sede a Mestrino (PD), ho potuto debuttare in Formula 3000 e dare un senso ad una carriera che fino a quel punto aveva solo promesso, ma non aveva mantenuto ancora nulla. Fu così che mi si spalancarono le porte della Formula Uno».
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Quali sono i luoghi che oggi frequenti di più o ai quali sei maggiormente affezionato?
«In ordine: casa mia, Noventa Padovana (ride, ndr), e poi le strade dei Colli Euganei, che hanno un posto speciale nel mio cuore e dove vado sempre in bicicletta, per allenarmi ma anche solo per fare un giro. È lì, ad esempio, che andrò con la mia handbike appena finita questa intervista».
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E i tuoi concittadini?
«Sento molto affetto. Nonostante si dica che i padovani siano molto chiusi, nei miei confronti si comportano in modo verace e a me fa molto piacere».
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Tra le tue mille attività, ce n’è una alla quale sei particolarmente affezionato: il progetto “Bimbingamba”, che hai creato e ideato..
«È un progetto che coccolo con amore. “Bimbingamba” nasce con l’idea di aiutare tutti quei bambini che hanno bisogno di una protesi, ma che non possono permettersela. Grazie ad essa, al di là della funzionalità tecnica, riescono a riacquistare fiducia e sicurezza in se stessi. Quando ti trovi ad avere a che fare con un bambino che arriva da te guardando il pavimento, perché è l’unica forma di difesa che ha sviluppato per sottrarsi allo sguardo altrui, e che, dopo esser stato da te una decina di giorni, ride, scherza, salta, gioca con gli altri bambini e guarda le persone negli occhi, è una soddisfazione immensa. È tanta la gioia che ricevi quanta quella che dai, se non di più. La difficoltà più grossa è quella di far conoscere questo progetto agli stessi bambini e per questo cerchiamo sempre di raggiungerne il più possibile, attraverso il passaparola o queste interviste».
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Oggi sei il numero uno al mondo nell’handbike e nel 2016 ci sono le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Ci stai facendo un pensierino?
«È sicuramente un obiettivo, ma data la mia età devo vivere alla giornata. Nel 2016 avrò quasi 50 anni, ma se il mio fisico sarà ancora quello di oggi sarò sicuramente della partita. Del resto, in Canada quest’anno sono diventato campione del mondo. È stata più dura del previsto, ma alla fine ho messo tutti dietro e… beh, è una figata».
Dopo mezzora di chiacchierata lo lasciamo al suo allenamento sui Colli e lui lascia noi con una riflessione. In una puntata di “Sfide”, il programma televisivo che conduce su Raitre, Alex disse: “Quando sei in corsa, non puoi e non devi smettere di correre e quando sei a terra, puoi e devi sempre rialzarti”, perché questa è “l’essenza dello sport” e perché “le vittorie più belle possono arrivare anche quando non te le aspetti più”. Alex lo ha dimostrato al mondo intero.