Il 16 marzo 1978, le Brigate Rosse sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana e poi lo uccisero
Sono passati esattamente 45 anni da quella che resta una delle pagine più drammatiche della storia moderna d’Italia.
Erano le 9.02 del 16 marzo 1978 e in via Fani, a Roma, un commando di 19 persone dell’organizzazione terroristica “Brigate Rosse”, il più potente, numeroso e longevo gruppo terroristico di estrema sinistra dell’Europa occidentale nel secondo dopoguerra, sequestrò Aldo Moro, uccidendo la sua scorta.
Fu l’inizio di un epilogo tragico, che sconvolse il Paese.
Il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, da sempre partito di Governo della Repubblica Italiana, si concluse infatti dopo 55 giorni di prigionia, quando le “Br” ne fecero trovare la salma all’interno di un’auto nel ghetto ebraico della capitale.
Una vicenda sui cui aspetti e retroscena, a quasi mezzo secolo di distanza, ancora non è stato possibile fare completamente luce nonostante 5 processi e le indagini coordinate da 3 commissioni d’inchiesta.
Chi era Aldo Moro
Pugliese di Maglie, in provincia di Lecce, Aldo Romeo Luigi Moro era nato nel 1916, secondogenito di 5 fratelli.
Entrato giovanissimo nella Federazione degli Universitari Cattolici Italiani, diventandone rapidamente presidente nazionale, laureato in Giurisprudenza a Bari a soli 22 anni, partecipò fin dalle prime riunioni clandestine del 1942 al gruppo che un anno dopo fondò la Democrazia Cristiana.
Partì così una carriera politica rapida e ricca di successi.
Nel 1946 Moro era per esempio tra i componenti dell’Assemblea costituente che redasse la Costituzione della Repubblica.
Fu poi, tra l’altro, presidente del Consiglio per 5 mandati (nei periodi tra il 1963 e il 1968 e tra il 1974 e il 1976), presidente del Consiglio europeo (nel 1975), 2 volte ministro degli Esteri, ministro dell’Istruzione e della Giustizia, segretario e presidente della Democrazia Cristiana.
L’apertura del centro alla sinistra politica
Proprio per le idee e l’attività svolta nel suo ruolo interno al partito, Moro fu definito “l’uomo del compromesso”.
Il rapimento del politico avvenne, per esempio, mentre si stava recando in Parlamento per votare la fiducia al nuovo Governo Andreotti, che era riuscito a trovare l’appoggio dei rivali storici del Partito Comunista. E lo stesso luogo del ritrovamento del cadavere, a pochi passi dalla sede dei due partiti, sembrò rivestire un significato simbolico.
Fin dal 1960, Aldo Moro iniziò infatti a spingere la Dc, partito di centro, a guardare a sinistra.
Nel suo primo Governo, nel 1963, trovarono così per la prima volta spazio anche esponenti del Partito Socialista, causando una divisione tra le correnti interne alla Democrazia Cristiana. Poi, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si spinse più in là, aprendo al dialogo anche con il Partito Comunista, fino al “compromesso storico” del 1973. Un’esperienza politica che si concluse proprio con la tragica morte di Moro.
Alberto Minazzi