Dopo il Covid, il dato sull’aspettativa di vita torna ad aumentare solo nelle regioni settentrionali. Le previsioni Istat sul futuro della popolazione italiana
È una ripartenza a più velocità, quella dell’Italia dopo la pandemia. E la misura del benessere equo e sostenibile dei territori, il sistema di indicatori provinciali che Istat aggiorna annualmente, offre una chiave di lettura anche per capire meglio come sta avvenendo questo ritorno alla normalità.
Da quanto emerge dal rapporto appena pubblicato, la capacità di ripresa è alquanto diversa a seconda dell’ambito territoriale specifico di riferimento. In particolare, la distanza tra Nord e Sud della penisola è una chiave di lettura ritenuta appropriata per alcuni importanti indicatori, per i quali il divario risulta essersi ampliato.
Uno dei principali indicatori per cui vale questa considerazione è la speranza di vita alla nascita, ovvero il numero medio di anni che un bambino può aspettarsi di vivere. Perché se, adesso, la stima media è di 82,4 anni (80,1 per gli uomini e 84,7 anni per le donne), l’andamento del dato è stato lo scorso anno diametralmente opposto tra Settentrione e Meridione, con un differenziale ora di 1,7 anni.
La speranza di vita alla nascita
Nel 2020, l’arrivo del Covid aveva fatto registrare una netta flessione della speranza di vita alla nascita, con la perdita di 1,1 anni che, interrompendo la crescita continua registrata fino a quel momento, fece passare la stima dagli 83,2 anni del 2019 a 82,1 anni.
Nel 2021, gli uomini italiani hanno recuperato circa 4 mesi e le donne 3. Ma si tratta di un dato medio nazionale che, come sottolinea l’Istat, “nasconde profonde differenze territoriali”. Al Nord, infatti, il recupero rispetto al 2020 è stato di quasi un anno, portando la media a 82,9 anni. Al Sud, al contrario, si sono persi ulteriori 6 mesi (in aggiunta i 7 dell’anno precedente), attestando la stima a 81,3 anni.
Come sottolinea il rapporto, si tratta comunque di un dato legato anche alle diverse tempistiche di diffusione del Covid, che ha raggiunto le regioni meridionali dopo quelle settentrionali, con code di mortalità che si sono prolungate anche nella prima parte del 2021.
I dati sulla speranza di vita di alcune province
Un esempio citato dall’Istat è quello della provincia di Bergamo, che ha recuperato quasi completamente i 4 anni di speranza di vita persi nel 2020, risalendo così dal 106° al 13° posto della classifica generale. Ma il trend è confermato anche da Cremona (che ha recuperato circa 3 dei 4 anni persi), Piacenza (risalita dal 102° al 38° posto) e Lodi (da 104^ a 47^).
Vi sono, al contrario, diverse province meridionali che, addirittura, nel 2020 avevano guadagnato qualche mese di vita, trovandosi a pagare le conseguenze della pandemia soprattutto nel 2021. In Sicilia, ad esempio, Trapani perde ora 6 mesi dopo averne guadagnato 1. Caltanissetta addirittura vede calare la speranza di vita alla nascita di 1,1 anni dopo un incremento di 2 mesi.
Va decisamente peggio a Campobasso, che, perso circa un anno nel 2020, lo scorso anno ha perso altri 16 mesi. O Enna, dove la stima diminuisce di 1 anno in aggiunta agli 11 mesi persi nell’anno precedente. C’è poi chi, come Roma o Padova, mantiene stabile la speranza di vita nel 2021 dopo aver perso circa 6 mesi l’anno precedente. E il caso particolare della provincia di Viterbo, stabile per l’intero biennio 2019-2021 a 82,1 anni.
Il futuro demografico dell’Italia
Il nuovo rapporto Istat arriva a pochi giorni e si collega a un altro report, pubblicato sempre dall’Istituto di Statistica: quello relativo alle previsioni sul futuro demografico dell’Italia. E il quadro relativo alla popolazione del nostro Paese conferma la presenza di un “potenziale quadro di crisi”.
Perché la popolazione residente è in decrescita, con previsioni che, dai 59,3 milioni al 1° gennaio 2021, sono di 57,9 milioni nel 2030, 54,2 milioni nel 2050 e 47,7 milioni nel 2070, con una media annua del -6,3‰. Ma non solo. Entro 10 anni, in 4 comuni su 5 (9 su 10 nelle zone rurali) è atteso un calo di popolazione.
E poi cambierà radicalmente la struttura sociale. Le famiglie, riporta l’Istat, aumenteranno “ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2041 1 famiglia su 4 sarà composta da una coppia con figli, più di 1 su 5 non ne avrà”.
Nel contempo, ci saranno sempre più anziani. Il rapporto tra persone in età lavorativa e non passerà da circa 3 a 2 nel 2021 a circa 1 a 1 nel 2050. Quando gli under 14, in uno scenario mediano, potrebbero essere solo l’11,7% del totale degli Italiani, mentre gli over 65 il 34,9%.
Alberto Minazzi