In un libro di Andrea Di Robilant sul grande scrittore il racconto della passione nata tra i casoni della Laguna
Un giorno di sei-sette anni fa passeggiavo con degli amici in un parco antico a San Michele al Tagliamento. Ci venne incontro l’anziano proprietario che gentilmente ci invitò a prendere un tè. Non lo conoscevo, ci presentammo. Era Gian Franco Ivancich, fratello maggiore di Adriana, colei che fu l’amore proibito di Ernest Hemingway… ».
Andrea di Robilant, giornalista e scrittore, racconta così l’episodio chiave che lo ha portato a scrivere il saggio “Autunno a Venezia. Hemingway e l’ultima musa” da poco pubblicato da Corbaccio. Un libro per la gran parte inedito, ricco di tantissimi aneddoti, con il grande merito di fare luce sugli ultimi 15 anni di vita del più grande scrittore americano del ‘900, che rivelano il suo tortuoso e sofferto percorso letterario fino alla tragica fine, il suicidio, nel 1961.
Perché conoscere Gian Franco Ivancich è stato determinante per spingerla a scrivere di questa storia?
Mi disse che aveva appena venduto alla John Fiztgerald Kennedy Library di Boston un pacchetto di lettere che Hemingway aveva scritto alla sorella. Avevo avuto l’occasione di conoscere Adriana Ivancich in Toscana negli anni ’70: una bella signora ma dallo sguardo profondamente malinconico. E un mio zio veneziano era stato compagno di bevute di Hemingway, il quale scrisse una fiaba a una mia zia quand’era piccola. Così quando ebbi l’occasione di andare a Boston, chiesi alla biblioteca di consultare queste famose lettere. Scoprii nell’Università di Austin, in Texas, quelle che Adriana scrisse allo scrittore. Trovai anche il diario che Mary Welsh, la quarta moglie di Hemingway, scrisse durante il soggiorno in Italia con il marito tra il 1948 e il 1949, fondamentale per dare una cronologia ai fatti. Quello tra Ernest e Adriana fu un rapporto molto lungo, durò dal 1948 al 1956, e fu molto profondo, determinante per la carriera letteraria di lui, fino a portarlo al Premio Pulitzer e poi al Nobel per la letteratura.
Ma come nacque questa storia?
Galeotta fu… l’avaria al piroscafo che portava i coniugi Hemingway in Provenza e che invece approdò a Genova. Il rapporto tra i due era in crisi come era in crisi la sua vena creativa: l’ultimo romanzo, “Per chi suona la campana”, era stato pubblicato nel 1940. E in patria ormai i critici lo davano per finito, appartenente a una generazione passata di autori. Sul molo dei Mille di Genova fu preceduto dalla fama. Ad accoglierlo trovò uno stuolo di fotografi e giornalisti. È stato molto divertente leggere le cronache dell’epoca che lo descrivevano come un omone di due metri dalla barba bianca. Si era portato dietro una Buick azzurra e assunse come autista Riccardo Girardengo, nipote di Costante, il campionissimo del ciclismo, del quale seguiva le gesta negli anni ’20. Questo gli risvegliò qualcosa, lo animò, gli accrebbe il desiderio di rivedere i luoghi che lo avevano visto giovanissimo in trincea sul Piave nella Grande Guerra. E al diavolo il viaggio in Provenza!
E Adriana, quando la conobbe?
Dopo un lungo viaggio a tappe arrivò a Cortina. Qui affittò Villa Aprile e si fece una cerchia di amici, tra i quali i Kechler, che lo introdussero agli Ivancich. Lo invitarono a una battuta di caccia a Latisana dove conobbe Adriana. Era giovane, bella, alta e snella, i capelli corvini. Le offrì un passagio sulla Buick, lei rifiutò. “Quel giorno fui colpito da un fulmine” scrisse. Il giorno dopo la rivide alla caccia. Pioveva e nel casone di laguna lei si mise ad asciugare i capelli davanti al fuoco. Cercava un pettine. Lui tolse il suo dalla tasca, lo spezzò e gliene diede metà. Lei aveva 18 anni, lui 49. Lei aveva solo una vaga idea di chi fosse lui. Iniziarono a scriversi, a incontrarsi a Venezia. Nacque un grande amore.
E la moglie Mary?
Lei all’inizio non se ne accorse, ma quando ne divenne consapevole fece di tutto per difendere il suo matrimonio. Ernest ritrovò l’ispirazione, iniziò a scrivere a Torcello “Di là dal fiume tra gli alberi” che traccia la storia con Adriana. Lo pubblicò in America nel 1950, dove venne stroncato dalla critica. Eppure per lui è il romanzo della svolta. Gli bastava avere vicino Adriana. Che andò addirittura a Cuba con la madre per stargli accanto. È con lei nella stanza che scrisse “Il vecchio e il mare” per cui ebbe il Nobel. Con Mary volavano piatti. Ma le voci sulla relazione proibita iniziarono a trapelare in Italia. Gino Damerini, dalle colonne del Corriere della Sera, gli disse che stava rovinando la reputazione della ragazza. Fu scandalo. Adriana venne relegata in casa, quasi fosse marchiata. Aveva 26 anni, non era ancora sposata. Con una lettera drammatica lei pose fine alla relazione nel 1956. Da qui inizia il declino di lui, la depressione, le crisi fino alla drammatica fine del 1961.
Ma cosa ci fu realmente tra di loro?
Di sicuro un grandissimo amore. La corrispondenza testimonia un rapporto che cresce, si evolve, ha tanti aspetti, un’attrazione erotica molto forte. C’è un punto di svolta. Dopo un loro incontro a Parigi, le lettere di Adriana cambiano registro, sono più intense: sono quelle di una persona molto presa, innamorata. Lui la venera, l’adora, non può fare a meno di lei. Se ci fu del sesso, lo sanno solo loro. Non ho dubbi che Adriana non sia mai stata così felice di quanto lo sia stata con lui, e viceversa. Per capire la scrittura dell’ultimo periodo di Hemingway così come la sua vita, non si può prescindere da Adriana. Solo con lei ritrova se stesso e la sua vena creativa. È lei che lo ispira. È la sua ultima vera musa.
Finalmente ho scoperto chi fù l’autista che accompagnó Ernest HEMINGWAY a Fossalta a rivedere il luogo dove venne ferito, la notte dell’8 luglio 1918. Qui casualmente, incontró ol papà di un mio amico e gli chiese di scavare una buca dove scaramanticamente versó delle monete. Emozionante. Grazie a Andrea De Robilant, vhr ho avuto modo di conoscere a Casa Parise a Salgareda.