Lo dice un nuovo studio, pubblicato su Nature, che ha analizzato le condizioni alla base di 4 dei principali eventi storici eccezionali
Se ci fosse stato il Mose, le due principali acque alte della storia di Venezia, quelle del 1966 e del 2019, probabilmente non le ricorderemmo. Come accade per quella del 22 novembre 2022, quando l’acqua raggiunse alla bocca di porto del Lido di Venezia 204 cm senza che in città se ne abbia avuta percezione.
“Il Mose ha già fornito protezione contro eventi analoghi all’evento più estremo, avvenuto nel 1966”, affermano i ricercatori Davide Faranda, Mireia Ginesta, Tommaso Alberti, Erika Coppola e Marco Anzidei, autori dello studio “Attribuire gli eventi di acqua alta a Venezia al cambiamento climatico e valutare l’efficacia della strategia di adattamento del Mose”.
Realizzata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia in collaborazione con il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi e l’International Centre for Theoretical Physics di Trieste, la ricerca è stata appena pubblicata sulla rivista “Nature Climate Atmospheric Science”.
I cambiamenti climatici e l’acqua alta a Venezia
L’obiettivo principale della ricerca è stato quello di studiare il legame tra gli eventi climatici estremi e l’acqua alta della Laguna veneta, provando a individuare le relazioni tra i cambiamenti climatici in atto e l’aumento del numero e della gravità dei picchi di marea a Venezia.
Per fare questo, si sono analizzate le varie condizioni che hanno determinato 4 acque alte eccezionali: quelle del 1966, del 2008, del 2018 e del 2019 (definito un “evento senza precedenti anche in ottica statistica”.
Venezia sempre più vulnerabile ai cambiamenti climatici
Sebbene, come ammette lo studio, “non possiamo attribuire i cambiamenti osservati esclusivamente a un fattore”, è però altrettanto vero che “i risultati che abbiamo ottenuto – spiega Alberti – hanno evidenziato chiaramente il legame esistente tra le modifiche nella circolazione atmosferica e l’aumento della gravità degli eventi di acqua alta, sottolineando la crescente vulnerabilità di Venezia ai cambiamenti climatici”.
“Il nostro obiettivo a lungo termine – aggiunge l’altro co-autore Anzidei – resta quello di comprendere sempre meglio gli impatti di aumento del livello marino a Venezia, anche in condizioni di fenomeni estremi, per valutare i possibili scenari attesi nei prossimi anni e contribuire in modo proficuo al dibattito sullo sviluppo di strategie sempre più efficaci di mitigazione, adattamento e resilienza”.
L’impatto del Mose
In tale prospettiva, dunque, è stata rivolta una particolare attenzione al Mose.
Arrivando alla conclusione che il sistema di paratoie “si è dimostrato efficace in termini di costi e benefici per contenere gli effetti dell’acqua alta e il progressivo aumento del livello marino causato dal riscaldamento globale, che a Venezia viene accelerato anche dal fenomeno della subsidenza”, riprende Alberti.
E se “i nostri risultati – sottolinea lo studio – suggeriscono che il sistema Mose può rappresentare un’efficace strategia di mitigazione per eventi con analoghi storici”, al tempo stesso “potrebbero essere necessarie misure aggiuntive per affrontare i potenziali danni causati da eventi senza precedenti”.
L’associazione ad altri eventi
In particolare, sono emersi i limiti del sistema “per mitigare i danni causati da alcuni eventi specifici, come l’evento del 2018”.
Quel particolare evento, associato alla tempesta Vaia, è stato infatti caratterizzato anche da un “fiume atmosferico”, cioè una corrente di aria umida capace di trasportare e scaricare enormi quantità di acqua, non molto comune nel bacino del Mediterraneo.
“Sebbene il cambiamento climatico provocato dall’uomo rimanga il motore dominante dietro la maggior parte dei cambiamenti osservati – si ammonisce – l’interazione tra la variabilità atmosferica e oceanica potrebbe contribuire all’intensificazione di questi eventi”.
Alberto Minazzi