L’opera di Giorgio Morpurgo e di Annalisa de Curtis completa un progetto iniziato nel 2009, rendendo fruibile un patrimonio bibliografico immenso
La Biblioteca del Memoriale della Shoah di Milano si trova accanto al Binario 21.
E’ in un nuovo edificio che integra e completa il progetto iniziato nel 2009 e che aveva avuto la sua tappa più significativa nel 2014 con l’apertura del Laboratorio della Memoria.
Con il suo patrimonio di 45.000 volumi facente parte della Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) finalmente contestualizzato, rappresenta l’ultimo tassello di un luogo simbolo che vuol essere “un memoriale per chi c’era, per chi c’è ora ma soprattutto per chi verrà“.
Un’ area polifunzionale di studio e di ricerca, con spazi di archivio, luoghi per la didattica e installazioni architettoniche utili all’immersione e alla suggestione.
Questo luogo funge da casa per un patrimonio
L’edificio si sviluppa su tre livelli con un telaio strutturale in acciaio a vista, con inserti di vari altri materiali, lavorati dai progettisti su misura, senza ricorsi a elementi di produzione corrente.
A ricordare il “Muro dei nomi” del Memoriale, che commemora una per una le vitttime e i superstiti del convoglio umano partito nel 1943 e 1944 dalla stazione di Milano verso i campi di concentramento di Auschwitz, Birkenau e Mauthausen (tra loro, il 30 gennaio 1944 anche la senatrice Liliana Segre e altri tredici membri della sua famiglia) è il “muro di libri” – testimoni silenziosi – visibile dall’esterno, che diventa immagine simbolica del Memoriale, così come la monumentale scritta INDIFFERENZA.
“Fare memoria attraverso l’Architettura. Mettere a nudo la preesistenza”
hanno commentato la realizzazione di quest’opera “Fare Memoria attraverso la pratica artistica dell’Architettura in un luogo originale della Shoah ha significato per noi mettere innanzitutto a nudo la preesistenza – hanno spiegato Guido Morpurgo e Annalisa de Curtis – . Questa ‘fase archeologica’ ci ha permesso di rimisurare il sito attraverso i nuovi interventi. È questa l’essenza del nostro progetto perché è grazie al principio del distanziamento fisico e concettuale che si ricostruisce “l’intervallo perduto” tra l’opera e il suo contesto, con cui si rivela il sito attraverso la vita delle forme architettoniche. Il distanziamento è lo sguardo critico che ci ha consentito di intervenire in questo grande interno tragico, mantenendo sempre uno spazio di rapporto con esso, una pausa silenziosa di rispetto della sua storia. Ma anche di riflessione, che suggerisce uno straniamento da un luogo che è l’emblema della perdita di ogni senso. La Biblioteca – hanno concluso – rappresenta la quintessenza del progetto perché è solo attraverso la cultura e la rielaborazione della memoria che possiamo risignificare questo documento ripensandolo. Memoria significa sempre qualità ed è per questo che abbiamo disegnato al vero ogni dettaglio come fatto spaziale che rivela il legame ineludibile tra la parte e il tutto, principio primo che dà forma all’intenzionalità dell’opera”.
Un progetto apprezzato e studiato in Italia e all’estero
Quest’opera ha interessato la stampa nazionale e internazionale, diventando rapidamente oggetto di studio a approfondimento.
Sono diversi i riconoscimenti attribuiti per la realizzazione di questo progetto, in particolare la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana da parte della Triennale e del MiBACT (IV Edizione, 2015 – Menzione d’Onore Interni), il Decreto di tutela monumentale del MiBACT (2017), l’iscrizione quale “Opera di eccellenza” nel registro delle “Architetture del Secondo Novecento” del MiC (2019) e il Premio Nazionale In/Architettura 2020.
Gerardo Santoro