Veneto all’ottavo posto per contrazione dei depositi delle famiglie con quasi 1,5 mld di euro evaporati in un anno :-1,4%. Nordest a – 2,3%, Piemonte a -4,7%
«Whatever it takes» sembra ancora essere il mantra della Banca centrale europea.
All’Eurotower di Francoforte non siede più Mario Draghi come nel 2012, quando pronunciò la frase passata nei manuali di politica monetaria, ma anche Christine Lagarde, attuale presidente della Bce, pur senza usare le stesse parole, si allinea a quel principio.
Declinato ora sull’inflazione. Ovvero, continuare a combattere la spirale dei prezzi che fa esplodere il costo della vita e sgretola i nostri risparmi.
Giovedì scorso nuova spinta verso l’alto dei tassi d’interesse E non è finita.
Vediamo un po’ di numeri. Tasso primario al 4%, (va al 3,50 quello dei depositi delle banche in Bce) con un’inflazione che per Eurolandia si attesta ancora a 6,1%.
Ma gli italiani sfortunatamente non fanno la spesa a Dortmund o Brest o Siviglia. La facciamo a Mantova, Livorno, Belluno e per tutti noi vuol dire un costo aggiuntivo dato dalla nostra inflazione che viaggia ancora al 7,6%. Vale a dire oltre un punto percentuale superiore alla media dell’eurozona.
La Bce preannuncia una nuova stretta monetaria
Adottiamo l’unità di misura prezzo della pasta: aumenti record del 17,5% nel primo trimestre dell’anno a fronte del grano che scende e il Codacons che denuncia aggravi medi a famiglia di 25 euro. È un esempio delle dinamiche, evidentemente non solo inflazionistiche, che drenano i nostri soldi.
Lo confermano i dati raccolti dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre che mostrano il Veneto all’ottavo posto per contrazione dei depositi delle famiglie con quasi 1,5 mld di euro evaporati in un anno (-1,4%) e il Nordest a – 2,3%.
Piemonte (-4,7%) che guida la classifica di questo calo e non a caso a livello provinciale sono proprio Asti, Cuneo e Biella a detenere il primato nazionale.
Ovviamente, anche “andare” in banca per mutui e prestiti ci sta costando di più, terribilmente di più.
Altra zavorra a carico delle nostre tasche. E poiché proprio la numero uno della Bce ha preannunciato un’ulteriore stretta monetaria (che vuol dire maggiore costo del denaro e tutto il resto) a breve, cioè fra un mese, a luglio, la prospettiva non è affatto rassicurante.
Whatever it takes per riportare l’inflazione della zona euro entro quei limiti ormai lontani del 2%. Torneremo a quel livello? E la recessione, già qui nonostante i buoni risultati dell’Italia, altro spettro per banchieri centrali e politici?
Le Banche italiane sotto osservazione
Una delle critiche più feroci alla Bce di Lagarde è quella di non aver capito per tempo e rapidamente che l’aumento dei prezzi, lungi dall’essere passeggero e non insidioso, si stava avvitando verso l’alto per effetto di almeno tre fattori: lo shock alle economie dovuto alla pandemia; il rimbalzo repentino e violento di un recupero innescato dall’allentamento delle restrizioni post-pandemiche con incredibili colli di bottiglia (nella logistica, nella produzione per dare degli esempi) e il secondo shock, energetico e non solo, questa volta scatenato dalla temeraria invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin (con il corollario delle sanzioni che hanno un costo anche per chi le impone).
Poveri consumatori italiani: spesa raddoppiata e carrello dimezzato.
Magari non proprio con questa equivalenza ma la corsa dei prezzi sta modificando impietosamente il nostro modello di spesa. E l’inflazione non molla.
Mutui e depositi? Per i primi, in pochi mesi l’aggravio si aggira sui 275 euro con aumenti che lambiscono il 60% dal gennaio 2022. E anche in questo caso, secondo gli analisti, non è in vista un raffreddamento di una spirale dei tassi. C’è poi un aspetto ormai diventato anche motivo di dibattito politico.
Chiedetevi perchè all’aumento dei tassi d’interesse non corrisponde una più generosa remunerazione per i nostri depositi e conti correnti?
Un faro lo ha acceso proprio Bruxelles che ha messo le banche italiane sotto osservazione e parla di extraprofitti accumulati sulla pelle, ovvero sui soldi, dei clienti.
In particolare dei piccoli risparmiatori.
In Italia l’inflazione resta più alta che in altri Paesi Ue
Morale, meno soldi su tutti i fronti e non solo per effetto di una spesa sempre più costosa. Tradotto ancora una volta in numeri vuol dire che l’emorragia nel solo primo trimestre dell’anno è costata agli italiani (famiglie e imprese) una sforbiciata nei conti bancari di oltre 50 miliardi (fonte Fabi, il sindacato dei bancari).
Anche l’Istat certifica che la nostra inflazione cala con minore velocità degli altri paesi della zona euro.
Infatti, su base mensile a maggio l’aumento è stato dello 0,3%, laddove il dato annuale indica una discesa al 7,6% dall’8,2% di aprile e per non smentirsi l’energia e il settore alimentare sono tra quelli che incidono in modo più significativo (in particolare con il +1,5% per i prodotti non lavorati – vale a dire frutta e verdura – e +0,6% per i lavorati).
Torniamo allora al mitico carrello della spesa che veleggia ancora su un infuocato 11,2%, con uno scarto del -0,4% su aprile.
Se allora l’Italia, da Merano a Siracusa, da Pinerolo a Foggia, continua ad avere l’inflazione più alta almeno nel confronto con la sorprendente Spagna (2,9%), Germania (6,3%) e Francia (6%), naturale che a Francoforte risuoni ancora quel whatever it takes dal copyright ben preciso.
Diversamente dagli Usa, con la Federal Reserve che ha dato un colpo di freno a fronte di un’inflazione in calo di quasi un punto al 4% (anche la Fed ha l’obiettivo del 2%) quindi ancora alta ma decisamente meno rampante che in Europa. E infatti Lagarde si tiene le mani libere anche per settembre mentre restano poco incoraggianti le proiezioni (tutte in aumento rispetto le previsioni) sull’inflazione: 5,4% alla fine di quest’anno, 3% a fine del prossimo e ancora 2,2% a fine 2025: orizzonte lontano e livelli troppo alti, il verdetto di Francoforte.
Si guarda ai soldi, meno ai prodotti sostenibili
Transizione ecologica. Cosa c’entra la sostenibilità con l’aumento dei prezzi?
Eppure, proprio la ricerca di un modello sostenibile anche negli acquisti sta pesando e non poco sui nostri conti.
Utile in proposito un recente indagine del Regno Unito da cui risulta il disorientamento del consumatore (anche i giovani più “eco-sensibili”) davanti a prodotti (presunti) “sostenibili”, dagli alimentari al vestiario ai cosmetici, offerti solo a prezzi alti o molto alti.
Così, a differenza di pochi anni fa, quando l’aspirazione alla sostenibilità faceva premio, oggi si è tornati a scegliere in base a prezzo, convenienza e qualità.
Bel risultato.
Allora non è solo l’effetto Beyoncé a infiammare l’inflazione come accaduto in Svezia per i concerti della cantante texana. I problemi dell’eurozona (e italiani) sono un po’ più strutturali e non ci rimane che aspettare il pieno manifestarsi della politica monetaria restrittiva di Christine Lagarde e del non-suo whatever it takes.
Agostino Buda