La situazione più critica attesa ancora in Emilia Romagna. L’esperta: “Occorre intervenire con urgenza, sfruttando anche il Pnrr”
Dalla lunga fase della siccità, all’opposta allerta-inondazioni il passo è stato brevissimo.
E se le drammatiche immagini delle esondazioni giunte dall’Emilia Romagna sono ancora freschissime, già ci si deve preparare, in queste ore, a nuove emergenze. Non a caso, la Protezione civile ha emesso un bollettino di criticità per mercoledì 10 e giovedì 11 maggio.
L’allerta meteo più elevata, da arancione a rossa, riguarda di nuovo l’Emilia Romagna.
Quella gialla altre 12 tra regioni e province autonome: Lazio, Umbria, Calabria, Basilicata, Molise, Calabria, Puglia, Abruzzo, Marche, Sicilia, Trento e Bolzano.
Un “treno di cicloni”, come l’hanno definito i meteorologi di iLMeteo.it, che durerà almeno fino al 20 maggio, specie al Nord.
Del resto, sottolinea Gabriella Chiellino, prima donna laureata in Scienze ambientali all’università Ca’ Foscari di Venezia e fondatrice della società di consulenza e ingegneria per la riduzione e la gestione dell’impatto ambientale eAmbiente Group, i fenomeni di carenza idrica ed eccesso di precipitazioni sono le due facce della stessa medaglia.
Fenomeni noti da millenni, ma riguardo ai quali negli ultimi anni si è registrato un cambiamento radicale. Che deve tradursi, secondo l’esperta, in un ripensamento della progettazione (anche relativamente recente) degli interventi da attuare sul territorio.
Una nuova “fase della resilienza” nella quale sfruttare anche le opportunità messe a disposizione dal Pnrr.
I fenomeni meteo sono diventati più repentini
“Se si studia la storia – premette Chiellino – momenti di siccità ed esondazioni dei fiumi si sono registrati in varie ere geologiche e in varie parti del mondo. Quel che è cambiato sono soprattutto due aspetti: la repentinità con cui si presentano e il fatto che adesso, sulla Terra, siamo 8 miliardi di persone, che quindi non possono prendere e spostarsi se i loro territori vengono allagati. E, non potendo spostare le città, bisogna allora trovare soluzioni di resilienza perché le stesse siano in grado di reagire di fronte alle difficoltà”.
Anche l’approccio scientifico, nell’ultimo ventennio, è dunque cambiato.
Non è più in discussione, ormai, il fatto che dai cambiamenti climatici derivino pesanti conseguenze per la vita quotidiana di tutti noi.
“Il nuovo tema – riprende l’esperta – è che la mutata realtà delle condizioni climatiche e di vita trova territori in cui la pianificazione è stata fatta sulla base di criteri completamente diversi da quelli attuali”.
“Le stesse valutazioni ambientali strategiche dei progetti richieste dall’Europa – prosegue la fondatrice di eAmbiente – sono state spesso vissute solo come allegazioni formali o documentali”. Se dunque anche le relazioni meteo-climatiche che stanno alla base della possibilità di conoscere l’arrivo di questi fenomeni non guardano più a un arco temporale di alcuni decenni, ma si concentrano sulle evoluzioni statistiche degli ultimi anni, qualcosa deve dunque cambiare anche a livello di approccio progettuale.
Progetti da rivedere con l’obiettivo-resilienza
“Di fronte ai mutati fenomeni – riprende Gabriella Chiellino – chi pianifica e progetta, specie con fondi pubblici, ha l’obbligo di allegare relazioni che permettono di capire se un progetto, come quelli di una strada o di una fogna, è in grado di mostrarsi resiliente di fronte a fenomeni esterni specifici del territorio di riferimento. Bisogna avere il coraggio di intervenire anche con soluzioni tecniche che, apparentemente, possono “fare male” al territorio, impedendo per esempio di costruire o dicendo no alla possibilità di piani interrati, fino alla collocazione di casse di espansione”.
“La popolazione – prosegue – deve rendersi conto che sono interventi invasivi, ma fondamentali. E da qualche parte bisogna farli”. Esempi di bacini di laminazione già realizzati non mancano, come quello di Caldogno, in Veneto, che ha messo in sicurezza i territori tra Padova e Vicenza. Ma in tutta Italia, in tema di rischio di esondazione dei grandi fiumi, dal Po all’Arno, si sta intervenendo, sia realizzando casse di espansione a lato dei corsi d’acqua, sia con opere di manutenzione e pulizia dell’alveo. E, per fronteggiare eventuali inondazioni, non mancano nemmeno le barriere, a partire dal Mose di Venezia.
“Quello delle opere idrauliche – commenta la fondatrice di eAmbiente – è uno dei filoni-base non solo delle direttive europee, ma anche di regioni come il Veneto, che sta facendo già molto, come con il recente piano anti-siccità, ma può fare ancora di più”.
“Bisogna anche sottolineare – ammonisce l’esperta – che ci sono progetti, magari risalenti a una ventina di anni fa, che vanno verificati da esperti e quindi rivisti velocemente, in considerazione dei cambiamenti intervenuti nel territorio. Il tema, adesso, è l’urgenza: bisogna accelerare. Quel che chiedo a chi è chiamato a decidere è di partire dalla riduzione del peso dei tempi per le autorizzazioni per aprire i cantieri. Anche perché l’Europa, per concederci gli aiuti, ci chiede di finire entro il 2026; ma in molti casi non si è nemmeno partiti”.
Il tema-Mediterraneo e alcuni consigli al presente
Anche in Italia, dunque, bisogna abituarsi a convivere con nuove situazioni cui nessuno era abituato.
La nostra collocazione geografica ci pone infatti in una condizione assai particolare.
“Noi – illustra Gabriella Chiellino – siamo immersi nel Mediterraneo, che è diventato il mare più caldo al mondo. Ed è proprio il contrasto tra aria e acqua, quando arrivano fenomeni atmosferici, a portare alla formazione di vortici”.
“Bisogna allora – continua – trovare soluzioni infrastrutturali e di edilizia idonee, lavorando su due strade parallele: l’abbattimento delle emissioni in atmosfera da un lato e, dall’altro, la progettazione di nuove costruzioni e la sistemazione dell’esistente per far sì che siano in grado di reagire ai fenomeni estremi”.
Un lavoro, ovviamente, che richiede tempo. Nell’attesa, secondo la fondatrice di eAmbiente, di fronte a situazioni come quelle di questo maggio è possibile limitare i danni soprattutto sul piano della prevenzione: “La Protezione Civile può preparare la popolazione a mettersi in sicurezza, perché, finché non si faranno tutte le casse di espansione necessarie, una piena ad esempio del Piave porterebbe grandi danni. L’esempio da imitare è quello dell’acqua alta a Venezia, dove i cittadini ben conoscono le linee guida da seguire e sanno come comportarsi. Come per il rischio sismico, va quindi insegnato anche nelle scuole come fronteggiare eventuali inondazioni”.
L’opportunità del Pnrr
Con la “Mission 2”, quella della transizione ecologica, nell’attuale contesto normativo una grande opportunità anche nel senso degli interventi legati alla gestione delle acque arriva dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Sul tema della siccità, per esempio, anche in Italia si sta mettendo in campo un grande lavoro (ritenuto “impensabile fino a qualche anno fa” dall’esperta) mirato alla realizzazione di impianti di desalinizzazione, con progetti di sviluppo in varie città costiere sulla falsariga di quanto avviene da anni in realtà come Israele o Emirati Arabi.
“Il Pnrr – ricorda Chiellino – dà fondi anche per gli interventi sugli acquedotti che consentono di recuperare acqua evitando le perdite idriche. Un tema sul quale, al momento, l’Italia presenta ancora molte carenze, pur essendo il Paese che consuma più acqua in Europa, anche perché il costo è il più basso. È triste dirlo, ma siamo disposti a pagare tanto un nuovo telefonino e solo situazioni di emergenza, come quelle recenti legate ai rincari dell’energia, portano a cambiamenti degli stili di vita per sistemare le cose”.
In ogni caso, per gestire al meglio questi cambiamenti l’opera dell’uomo è necessaria. “È vero che con mobilità, edilizia e industria l’uomo ha inciso sulle variazioni del clima, con concentrazioni di CO2 in atmosfera passate in un secolo da 10 a 440 parti per milione di aria, che sono una delle cause dei fenomeni di riscaldamento e di eventi climatici così improvvisi – ammette l’esperta – La natura, di per sé, è in grado di resistere e di adattarsi: il vero tema, ripeto, è che siamo noi uomini a essere troppi. E dobbiamo quindi trovare le migliori soluzioni tecniche e di stili di vita per reagire di fronte alla siccità e alle grandi piogge, approfittando, come avvenne dopo il 1976 in campo anti-sismico, degli eventi attuali per ripensare il modo di costruire le città, i collegamenti e gli impianti finanziando progetti che siano resilienti e idonei ai cambiamenti”.
Alberto Minazzi