Dai Pooh, alla Fondazione per i giovani talenti, fino all’opera dedicata a Casanova.
Intervista a Red, al secolo Bruno Canzian, grande musicista di Treviso
Uno dei loro più grandi successi porta il titolo di “Uomini soli”.
Eppure i Pooh, nonostante abbiano pubblicamente annunciato nel 2016 di aver concluso il loro percorso assieme, soli non lo sono mai stati.
Perché la voglia di “onorare l’amore del pubblico” e di suonare assieme, forse soprattutto ora che dal 2020 tra loro non c’è più Stefano d’Orazio, in questo modo sempre presente tra loro, è tornata anche in occasione dell’ultimo Festival di Sanremo.
Un omaggio, “un modo per dare ancora un grande abbraccio al nostro pubblico”, racconta Red Canzian.
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-Red, Perché avete scelto il Festival di Sanremo?
E’ capitata l’occasione e l’abbiamo colta divertendoci molto. Devo dire poi che ho trovato il Festival molto equilibrato, molto trasversale.
C’era un po’ di tutto, il classico come il nuovo, però mescolati bene insieme e i “nuovi” hanno fatto delle cose davvero molto belle.
Un’altra veneta come me, Madame, ha fatto un bellissimo lavoro”.
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– Tu sei molto attento a come sta cambiando il mondo della musica e hai un interesse particolare per i giovani talenti. Tant’è vero che hai dato i natali alla Fondazione Q, dedicata alla scoperta di giovani promesse…
Sì, anche se devo ammettere che siamo un po’ fermi in questo momento. La Fondazione risale agli inizi del 2000 e da allora sono cambiate molte cose.
E’ una lotta impari contro i talent show, che hanno un peso promozionale impareggiabile. Ho prodotto dei dischi di altissimo livello, per esempio di meravigliose sonate al pianoforte di un ragazzo di 16 anni di Sacile, Tessarotto, o anche di un quartetto d’archi che interpretava canzoni rock e di Arianna Cleri, che aveva vinto a sedici anni il programma “Io canto”. Ho fatto tante cose, ma quando esce qualcuno da un “Amici”, da “Xfactor” hai un terreno spianato che è impossibile avere se fai delle tue produzioni, anche se comunque ben vengano gli spazi che offrono opportunità ai giovani. Io comunque continuo a seguirli: nei miei studi a Milano c’è una mia scuola di canto e musica e io cerco di dare ai giovani che la frequentano i maestri migliori per far sì che emerga qualche talento. Grazie a Dio, ogni tanto succede”.
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– Con te è successo, oramai diversi anni fa. Non era scontato per un musicista, sia pur di grande esperienza e gavetta, proveniente da un’area geografica un po’ “ai confini dell’impero” ovvero lontana dalle città come Roma e Milano, dove hanno sede le grandi case discografiche. Non c’erano i talent e neppure le Fondazioni…
“Siamo stati ai confini anche un po’ per colpa nostra. C’era in realtà allora un fermento musicale incredibile in Veneto, c’erano mille gruppi tra Venezia, Padova e Treviso negli anni sessanta, solo che non sapevamo “esportarli”. E devo dire che i musicisti veneti in quegli anni avevano anche tutti un po’ di spocchia,di presunzione. Io che mi divertivo a suonare anche cose molto pop, venivo preso un po’ come un matto”.
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-Ora stai lavorando al Casanovaa Operapop, il tuo grande successo ispirato alla Venezia del ‘700?
Sì. Onestamente abbiamo scelto un momento terribile per partire con questo spettacolo, a Gennaio di un anno fa.
Eravamo in piena pandemia, si poteva accedere a teatro ancora con le mascherine, un delirio. Eppure ce l’abbiamo fatta.
Registriano il tutto esaurito ovunque e aggiungiamo continuamente nuove rappresentazioni.
Credimi, un anno fa non era così, c’era da spararsi. Eppure bisogna insistere. Se credi a un sogno, non puoi mollarlo.
E’ come un figlio, se fa una sciocchezza non è che l’abbandoni, rimane tuo figlio, devi seguirlo e magari chiederti se la cazzata l’ha fatta per colpa tua”.
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– Ma come è nata l’idea di questo spettacolo?
-“Erano anni che volevo fare qualcosa su Venezia e su Casanova ma non trovavo la bibliografia.
Poi Matteo Strukul ha scritto questo romanzo dal titolo “Giacomo Casanova. La suonata dei cuori infranti” ed essendo un romanzo ha dentro tutto quello che serve: azione, amore, sesso, amicizia, fuga dai Piombi, intrigo politico, duelli.
Per cui poi in sei mesi ho scritto l’intero spettacolo, perché era tutto davvero bello e chiaro ed ero finalmente stimolato.
Il mio Casanova è un eroe, sono gli occhi di Venezia che combattono contro gli intrighi politici orditi dagli austriaci che vogliono annettere Venezia come una delle loro province. E’ un uomo che si innamora, che non va sempre in giro a fare il libertino impenitente.
In più ho fatto questo lavoro di immagini di realtà aumentata e tu sei davvero a Venezia, dopo un quarto d’ora dimentichi di essere a teatro e ti senti immerso nella Serenissima del settecento!”.
Andrea Manzo