Giusto un anno dopo l’attacco all’Ucraina, la Russia si defila dal trattato START che regola gli arsenali atomici con gli USA e revoca il decreto che riconosceva sovranità e integrità territoriale alla Moldavia
Negli anni Novanta, il politologo americano Francis Fukuyama elaborava il concetto storico-filosofico di “Fine della Storia”: il tramonto del Millennio e del ‘Secolo breve’ sembrava portare alla cessazione degli eventi storici, in un Occidente finalmente pacificato dopo gli anni della Guerra Fredda, con gli occhi puntati a un futuro economicamente prospero e senza, apparenti, difficoltà.
Dal 24 febbraio 2022 ‘quella Storia’ ha ricominciato inaspettatamente a correre; la Russia di Vladimir Putin, dopo mesi di minacce e preparativi, ha invaso l’Ucraina, dando inizio al primo conflitto bellico su suolo europeo dalla Seconda Guerra Mondiale.
365 giorni dopo, la guerra russo-ucraina continua a imperversare, tra attacchi e contrattacchi, rappresaglie e ritirate più o meno strategiche.
Nessuno avrebbe mai pensato che la ‘Vecchia Europa’ potesse ancora essere teatro di scontri bellici reali, fatti di proiettile, carri armati e distruzione indiscriminata, con la paura fondata di una possibile, per quanto ancora remota, escalation nucleare.
Il premier ucraino Volodymyr Zelensky, da attore a leader politico, muove costantemente alla ricerca di aiuti economici e militari in Europa e nella NATO; Joe Biden, presidente degli USA e leader dell’alleanza atlantica, si spinge fino a Kiev per confermare il sostegno occidentale contro l’invasore, così come gli altri leader europei (tra cui la nostra Giorgia Meloni).
L’Europa si è ritrovata dall’oggi al domani in precario equilibrio tra l’egemonia americana e la minaccia orientale, con alle spalle il gigante cinese le cui intenzioni non sono mai state davvero chiarite.
Da casus belli regionale a scontro culturale
Se l’invasione russa ha avuto come pretesto la liberazione delle regioni ucraine del Donbass dal presunto regime “nazifascista”, nei fatti la guerra è diventata una questione culturale, tanto sottile quanto difficile da comprendere dalla nostra parte del mondo, a partire da quella ‘pericolosa vicinanza’ tra Ucraina, Europa e NATO.
Occidente contro Oriente. Democrazia contro autarchia: tra le varie ipotesi avanzate nel corso di questi dodici mesi, si è avuta l’impressione che la volontà putiniana fosse soprattutto di bloccare l’avanzata del capitalismo, del benessere economico e sociale (ammesso e non concesso), della libertà di espressione contro il pugno ferreo di un dittatore poco incline al dissenso e al decentramento politico ed economico.
Ne è una dimostrazione lampante la gestione bellica.
Dall’idea della “guerra lampo” alla realtà di un lungo conflitto
Nella speranza di poter effettuare una ‘guerra lampo’ per assoggettare tutta la nazione ucraina, la Russia si è ritrovata invischiata in un conflitto più lungo di quanto si sarebbe aspettata, rimediando alla disastrosa invasione con crimini atroci: il ritrovamente delle fosse comuni, il massacro di Bucha, gli scontri attorno alle centrali nucleari ucraine e il conseguente rischio di disastro atomico, gli strategici attacchi al sistema di approvvigionamento energetico.
Di contro, l’Ucraina, dopo primi mesi difficili, ha potuto giovarsi dell’aiuto bellico occidentale e della resistenza del proprio popolo.
Alla perdita di Mariupol hanno contrapposto la riconquista di Kherson, riportando il conflitto a una stasi invernale a causa della quale, ancora, non si intravede una fine della guerra.
Nel frattempo, in settembre, la Russia promuoveva un ‘referendum-farsa’ per accertare legalmente l’annessione delle repubbliche del Luhansk e di Donetsk, forzando la risoluzione regionale del conflitto.
L’Europa e la “guerra del gas”
L’Europa si è ritrovata quindi a difendere quei valori conquistati nei secoli, e perlopiù dimenticati (quante persone hanno pensato che, dopotutto, l’Ucraina sarebbe potuta soccombere?) e al tempo stesso far fronte alla questione energetica ed economica.
Lo stoccaggio estivo del metano necessario per affrontare l’inverno e il decremento della dipendenza dal gas russo dal 36% al 10% circa, insieme agli aiuti statali, hanno permesso alla Comunità europea di attraversare l’inverno e di fare quadrato attorno alla causa ucraina.
Con tutte le conseguenze del caso. Circoscrivendo i dati economici relativi a una singola regione come il Veneto, per esempio, Confartigianato regionale comunica la perdita di 1 milione di euro al giorno dall’inizio del conflitto, con un calo delle esportazioni attorno al 21% rispetto al periodo pre-bellico.
Immaginiamo questi dati su scala nazionale e continentale.
Ciononostante, le enormi difficoltà si possono tramutare in opportunità: si potrebbe affermare che l’Unione Europea, finalmente, ha degli obiettivi chiari: la difesa e l’annessione dell’est europeo, mentre consolida la propria posizione sullo scacchiere geopolitico nei confronti di Stati Uniti e Cina.
Lo spettro del disastro atomico
Un anno di guerra: pochi l’avrebbero pronosticato, qualcuno l’ha auspicato in favore dell’Ucraina, giocando sul logoramento della Russia via via isolata dalle sanzioni messe in atto dall’Unione Europea (in dodici mesi sono state varati dieci pacchetti sanzionatori).
L’Ucraina continua a combattere, trascinandosi ferite e morti: secondo lo United Nations Development Programme, 18 milioni di persone, a oggi, necessitano di assistenza.
Mentre si attende la primavera, e la probabile ripresa delle operazioni belliche, continua la battaglia mediatica.
Lo spettro di un disastro atomico aleggia fitto sulle nostre teste, come non lo era dagli anni Sessanta, mentre la Russia potrebbe ‘annettere’ la Bielorussia.
I missili sfiorano i confini polacchi, minacciando una presa di posizione inevitabilmente attiva della NATO, mentre la Cina sembra consolidare il sostegno politico a Putin, il quale rilancia le attività de “L’operazione militare speciale”, si defila dal trattato START che regola gli arsenali atomici con gli USA e revoca il decreto che riconosceva sovranità e integrità territoriale alla Moldavia.
Dinamiche che ricordano, per quel che è la narrazione sui libri, la Guerra fredda e la contrapposizione di due super-potenze: Stati Uniti da una parte, Russia (o Cina?) dall’altra. Sembra allora, riprendendo in mano il filo cronologico del tempo, che il cosiddetto ‘Secolo breve’ sia in realtà terminato solo vent’anni più tardi, e che una nuova era sia cominciata da quella notte tra il 23 e il 24 febbraio.
Il XXI secolo, tra una pandemia e una nuova guerra europea, è veramente iniziato un anno fa. E la Storia ha di nuovo inizio.
Damiano Martin