Il testo modificato del disegno di legge Calderoli il 2 febbraio in Consiglio dei Ministri. Zaia: “Giornata storica”
Di introdurre in Italia un’“autonomia differenziata” per le Regioni si ragiona da almeno 20 anni.
E c’è una regione, il Veneto, che da più di 5 anni attende risposte da Roma dopo che i suoi cittadini hanno espresso in un referendum la volontà di veder riconosciute per il proprio territorio maggiori forme di autonomia.
Per questo, il presidente Luca Zaia ha parlato di “giornata storica” commentando la notizia che il disegno di legge sull’autonomia differenziata sarà presentato giovedì 2 febbraio in Consiglio dei Ministri.
La bozza presentata il 29 dicembre dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, è stata infatti modificata in sede di pre-Consiglio ed è pronta per l’esame finale da parte del Governo, che darà il via all’iter verso l’approvazione del decreto legge di riforma.
L’autonomia differenziata
Con l’autonomia differenziata si intende il passaggio di alcune competenze, con relative risorse finanziarie e personale, dallo Stato alla Regione.
Una possibilità di attribuzione inserita in Costituzione dal 2001, con la modifica dell’articolo 116, che la prevede al terzo comma.
Lo stesso comma indica come l’elenco di materie trasferibili è quello contenuto nel successivo articolo 117. Si va dalla sanità alla scuola, dai beni culturali ai trasporti (porti compresi), dalla tutela ambientale all’energia, dall’amministrazione della giustizia di pace alla previdenza complementare e integrativa, dalla finanza pubblica al sistema tributario.
Al riguardo, va detto che la bozza che sarà sottoposta a Palazzo Chigi non specifica quali siano concretamente le materie riguardo alle quali sarà possibile adottare l’autonomia. Ne consegue quindi che, non essendo posti limiti, anche settori strategici potranno passare dalla gestione centralistica a quella improntata al federalismo.
La procedura
Il disegno di legge definisce invece la procedura per arrivare alla devoluzione delle funzioni.
Il punto di partenza saranno le intese preliminari tra Stato e Regione che richiede l’attribuzione delle competenze.
Tali accordi, una volta in essere, avranno una durata non superiore a 10 anni, con proroga automatica di un eguale periodo a meno che una delle parti non intenda proseguire, eventualità in cui dovrà darne comunicazione entro termini che devono essere definiti.
Il Consiglio dei Ministri sarà chiamato ad approvare l’intesa preliminare proposta dal ministro per le Autonomie.
Una delle modifiche apportate alla bozza originaria riguarda il rafforzamento del ruolo del Parlamento.
Non saranno cioè le Commissioni a esaminare l’intesa, ma le Camere stesse in un arco di tempo di 60 giorni, con il seguente voto in aula sul necessario atto di indirizzo per proseguire con l’iter.
Anche il Ministero dell’Economia e quelli competenti per le materie coinvolte nell’accordo tra Stato e Regione avranno facoltà di intervenire.
Lo schema di intesa sarà trasmesso alla Conferenza unificata Stato-enti locali-autonomie.
E il testo così definito dovrà quindi essere approvato dalla Regione, prima della delibera del Consiglio dei Ministri entro 30 giorni.
I livelli essenziali delle prestazioni e gli altri contenuti
Per evitare disparità tra regioni, il disegno di legge precede che, attraverso uno o più decreti del presidente del Consiglio, siano definiti i “Livelli essenziali delle prestazioni” (Lep) prima di poter procedere al passaggio di funzioni in alcuni settori, come sanità e istruzione.
I “diritti civili e sociali”, con relativi costi e fabbisogni standard, devono infatti rimanere “garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Verrà dunque eliminato il criterio della “spesa storica”, che cristallizza nel tempo le disuguaglianze tra territori.
La concreta attuazione dei Lep potrà essere però sottoposta a verifica su specifici “profili o settori di attività”. A poter disporre tali verifiche, peraltro non vincolanti, sarà non solo il Dipartimento per gli Affari regionali della Presidenza del Consiglio, ma anche il Ministero delle Finanze, la Regione o la Commissione paritetica Stato-Regione.
A quest’ultima sarà demandato anche il compito di determinare “le risorse umane, strumentali e finanziarie” necessarie per l’esercizio delle funzioni trasmesse alle Regioni. Nel testo, infine, si prevede che dalla riforma non debbano derivare “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. E, all’articolo 9, si affronta la questione delle “misure perequative” e della rimozione “degli squilibri economici e sociali”, in ossequio all’articolo 119 della Costituzione.
La reazione della Regione Veneto
Il presidente del Veneto, Luca Zaia, è tornato sul tema oggi, a margine di Fieragricola Tech di Verona. “È un bel momento – ha affermato – . E’ la realizzazione di un progetto che dà inizio a quello che era il percorso dei Padri Costituenti. Diciamo a tutti che l’autonomia che vogliamo è quella scritta in Costituzione. È chiaro che l’autonomia non spacca i Paesi. Se fosse così non percepiremmo per esempio la Germania, che ha un’autonomia che qui in Italia ci sogniamo, come una grande Nazione”. “Non solo – aveva dichiarato ieri – si darà risposta a chi, come il Veneto, da anni ha chiesto di avviare questo progetto”.
Chiaro il riferimento al “Referendum regionale consultivo sull’autonomia del Veneto” che chiamò alle urne i residenti in regione il 22 ottobre 2017. Sulla scheda celeste, al quesito “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?” risposero “Sì” 2.273.985 veneti, il 98,1% dei votanti, contro appena 43.938 no. Trattandosi di un referendum consultivo, fu soprattutto fondamentale il raggiungimento del quorum del 50% dei 4.019.628 aventi diritto: soglia ampiamente superata con un’affluenza del 57,2%.
“È un bel segnale – conclude Zaia, tornando all’attualità. – Con l’autonomia si va verso un Paese che prende sempre più le connotazioni federaliste sancite dalla Carta. Siamo di fronte a un Governo coerente, che rispetta i cittadini, che dimostra di avere un’importante visione per il futuro del Paese. Si abbandona il centralismo, senza minare in alcun modo l’unità dell’Italia, ma anzi rinsaldandola attorno a una riforma attesa da anni. Il Governo sta dimostrando di saper guardare al futuro, con responsabilità e modernità”.
Alberto Minazzi