Possibili effetti positivi anche per gli enti locali dalla sentenza della Corte di Giustizia di Lussemburgo che dà il via libera alla decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato potrà chiedere a Airbnb, il colosso di intermediazione nel settore degli affitti brevi in continua crescita, di fungere da vero e proprio “sostituto d’imposta”, ovvero di versare all’Erario dello Stato e alle casse degli enti pubblici le imposte dovute dai padroni di casa, effettuando le relative ritenute.
È il principale effetto della sentenza Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo, pubblicata in queste ore, che potrebbe avere effetti importanti anche per la riscossione di alcuni tributi locali come la tassa di soggiorno.
Se molti Comuni hanno già raggiunto accordi per la riscossione in automatico, ve ne sono infatti altri che non sono riusciti a concludere un’intesa in tal senso.
Tra questi, per esempio, Venezia, dove non è stato possibile accogliere la richiesta di una tariffa unica avanzata di Airbnb per le rilevanti differenze legate alla posizione e alla stagionalità.
La sentenza europea
Premesso che a risolvere concretamente la controversia dovrà essere il Consiglio di Stato italiano, il pronunciamento della Corte di Giustizia ha fornito comunque un’importante interpretazione di diritto. La vicenda portata all’esame dei giudici di Lussemburgo riguardava infatti un possibile conflitto tra le norme europee e il nuovo regime fiscale italiano selle locazioni immobiliari brevi al di fuori di un’attività commerciale, con la sottoposizione di tali contratti, dal 1° giugno 2017 a una ritenuta del 21%.
Le società irlandese e inglese appartenenti al gruppo multinazionale Airbnb avevano al riguardo proposto un ricorso per chiedere l’annullamento del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate che dava attuazione al nuovo regime, imponendo tra l’altro nuovi obblighi agli intermediari nei contratti di affitto breve.
Il ricorso era stato respinto, Airbnb aveva impugnato la sentenza e il Consiglio di Stato si era rivolto alla Corte chiedendo la sua interpretazione di diverse disposizioni del diritto dell’Unione.
I tre obblighi del nuovo regime italiano
“Nella sua sentenza – si legge nel comunicato ufficiale – la Corte constata che i tre obblighi introdotti nel diritto italiano nel 2017 rientrano nel settore fiscale e sono, di conseguenza, esclusi dall’ambito di applicazione di talune direttive fatte valere da Airbnb”.
In altri termini, il diritto dell’Unione non osta né all’obbligo di raccogliere informazioni sui dati fiscali dei contratti né alla ritenuta d’imposta previsti da un regime fiscale nazionale.
“L’obbligo di ritenuta dell’imposta alla fonte s’impone – spiega il comunicato – tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia, quanto alle imprese che hanno ivi uno stabilimento. La Corte esclude, di conseguenza, che sia possibile ritenere che detto obbligo vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi”.
Dal 2023, dovrebbe scattare inoltre l’obbligo, anche per le piattaforme digitali (a pena di possibili blocchi in caso di inosservanza), di comunicare all’Agenzia delle Entrate codici fiscali dei locatori, redditi percepiti e dati catastali degli immobili locati. L’unico punto che ha trovato accoglimento riguarda invece l’obbligo di designare un rappresentante fiscale, che costituisce per la Corte “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”.
Cosa fa Airbnb
Airbnb, come ricorda la stessa Corte, è un gruppo multinazionale che gestisce l’omonimo portale di intermediazione immobiliare su Internet, che consente di mettere in contatto, da un lato, locatori che dispongono di alloggi e, dall’altro, persone che cercano tale tipo di sistemazione.
Airbnb riscuote dal cliente il pagamento per la fornitura dell’alloggio prima dell’inizio della locazione e trasferisce detto pagamento al locatore in assenza di contestazioni da parte del conduttore.
Fino all’introduzione del nuovo regime, Airbnb si è limitata a fornire a chi svolge l’attività di affitto breve un resoconto di quanto è stato incassato, informando il padrone di casa che i compensi percepiti vanno dichiarati al fisco, anche per locazioni turistiche non imprenditoriali, usufruendo della tassazione agevolata cedolare secca al 21% o pagando la tassa in base allo scaglione Irpef.
Il fenomeno Airbnb
La crescita di Airbnb è intanto continua. Sbarcata in Italia nel 2011, la piattaforma è cresciuta nel nostro Paese dagli iniziali 10 mila appartamenti ai 459 mila in catalogo a inizio 2020.
Prima del Covid, il giro d’affari era arrivato in Italia vicino ai 2 miliardi di euro l’anno (con un impatto economico diretto stimato nel 2018 in 5,4 miliardi di euro), l’11% del fatturato del settore, con 11,5 milioni di turisti annui.
La società è riuscita a ripartire nel 2021, con il fatturato globale a livello mondiale che è arrivato a 6 miliardi di dollari, con un incremento del +77%. E se nell’ultimo trimestre 2020 l’utile netto aveva fatto segnare una perdita di 3,9 miliardi, a fine 2021 era tornato in terreno positivo, a 55 milioni di dollari.
Il 2022, poi, è iniziato con numeri da record. Nel solo primo trimestre, il fatturato è arrivato vicino a 1,5 miliardi di dollari (+145% rispetto ai primi tre mesi del 2021, +80% se confrontato con il 2019), grazie a 100 milioni di prenotazioni. E le stime per il secondo trimestre parlano di oltre 2 miliardi di dollari di entrate.
Alberto Minazzi