L’annuncio di Moderna e Msd e le prospettive di una cura personalizzata
L’uso della tecnologia a Rna messaggero nello sviluppo dei vaccini, che già è stata fondamentale per fronteggiare il Covid, potrebbe risultare decisivo anche nella lotta al melanoma e alle altre forme di tumore.
Dagli Stati Uniti, nelle ultime ore, è arrivato l’importante annuncio delle big pharma Moderna e Msd sugli incoraggianti risultati emersi dagli studi di Fase 2 sull’uso combinato di un vaccino sperimentale e di un farmaco basato su un anticorpo monoclonale.
Da quanto emerge dai dati preliminari pubblicati, il rischio di morte causato dal melanoma risulta infatti ridotto del 44% nei pazienti sottoposti alla terapia specifica e non alla sola immunoterapia tradizionale.
E l’oncologo Paolo Antonio Ascierto, una delle massime autorità in materia, ha commentato su Facebook: “Se i risultati ottenuti dallo studio di Fase 2 saranno confermati, questo vaccino sarà un passo importante non solo per i pazienti colpiti da melanoma, ma anche da tutti gli altri tumori”.
La sperimentazione
Lo studio di Fase 2 di Moderna e Msd è stato condotto su 157 pazienti con un melanoma in stadio avanzato (terzo o quarto stadio, con presenza cioè di metastasi più o meno distanti dal sito originale) che erano stati sottoposti a un intervento di rimozione del tumore.
Nonostante la condizione di attuale superamento della malattia, quando si arriva a tali stadi è infatti elevato il rischio che rimanga un minimo residuo di cellule tumorali, anche se non rilevabili attraverso gli esami strumentali.
A metà dei pazienti, dopo l’intervento, sono state somministrate 9 dosi di vaccino in combinazione con il monoclonale pembrolizumab (inoculato per circa un anno con cadenza ogni 3 settimane), mentre l’altra metà è stata trattata con la sola immunoterapia.
I risultati sono stati estremamente positivi, con eventi avversi al vaccino, si legge nel comunicato di MSD, per il 14,4% dei pazienti sottoposti alla terapia combinata e nel 10% di chi ha ricevuto il solo pembrolizumab.
“L’orizzonte temporale per avere i primi dati della fase successiva, che prevede uno studio di Fase 3 che coinvolgerà un più ampio numero di pazienti, va dai 3 ai 5 anni – commenta il direttore dell’Unità di Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli e presidente della Fondazione Melanoma onlus, Paolo Antonio Ascierto –. I risultati resi noti sono però molto interessanti anche se da validare. Soprattutto, le prospettive vanno al di là del solo melanoma, in quanto il principio è lo stesso anche per gli altri tumori”.
Una metodologia valida per tutti i tumori
Si tratta, a differenza di quanto sviluppato per il Covid, di un vaccino terapeutico personalizzato e quindi non preventivo della patologia.
La procedura, spiega Ascierto, “richiede lo studio del genoma del tumore, ovvero del Dna delle cellule tumorali, del singolo paziente. Su questa base viene sintetizzato l’Rna messaggero che insegnerà al sistema immunitario del paziente a riconoscere e attaccare le cellule malate e prevenire recidive e metastasi”.
“È molto semplice concettualmente – illustra il medico – spiegare perché, dal melanoma, si può estendere la cura agli altri tumori. Questo è un vaccino personalizzato, che viene costruito sulla scorta di quelle che sono le proteine mutate presenti e quindi viene istruito il sistema immunitario contro queste proteine. È chiaro che queste proteine mutate non sono appannaggio del solo melanoma, ma ci sono anche in tutti gli altri tumori”.
“Quindi – completa il concetto – se, per esempio, prendiamo un tumore al polmone, lo processiamo, vediamo quali sono le proteine mutate e ci costruiamo l’Rna messaggero da inoculare, abbiamo lo stesso effetto. E questo vale per ogni tipo di tumore. Ovviamente, però, tali vaccini personalizzati vanno dati insieme all’immunoterapia”.
Il vaccino terapeutico
In questi casi, va precisato, parlare di “vaccino” non significa riferirsi al concetto comunemente attribuito alla parola, quello di “profilassi preventiva”.
Si tratta bensì di trattamenti terapeutici coadiuvanti per evitare le ricadute in pazienti già operati che presentano però un alto rischio che il cancro recidivi e quindi si ripresenti. Si usa però lo stesso termine in quanto il risultato finale a cui si mira è lo stesso, ovvero dare al sistema immunitario le informazioni per riconoscere l’agente patogeno esterno ed entrare in azione per mettere in campo le difese dell’organismo.
“Il vaccino preventivo – precisa Ascierto – è quello che previene la malattia, come, per esempio, quello per l’hpv, il virus del papilloma, che genera il cancro alla cervice. In oncologia, in genere, i vaccini sono invece terapeutici. Cioè c’è la malattia e faccio il vaccino per aumentare le difese immunitarie nei confronti della malattia presente”.
“In questo caso specifico – conclude – l’elemento disturbatore è dato dal fatto che ci troviamo di fronte a una malattia resecata chirurgicamente, visto che si tratta di melanomi con metastasi linfonodali resecate oppure di singole metastasi al polmone o al fegato che sono state tolte e poi non c’è evidenza di malattia. Per cui il vaccino viene fatto in questi casi come terapia adiuvante, cioè di aiuto alla chirurgia, che serve per prevenire le metastasi, non la malattia. Vaccino terapeutico, quindi, perché agisce contro una malattia presente che, anche se non è evidente, potrebbe esserci come malattia residua minima”.
Alberto Minazzi