Randi (Ampro): “Possibili temporali violenti sulle coste ed eccesso di precipitazioni in montagna”
Posto e sottolineato che “l’atmosfera è un sistema caotico”, per cui a lungo termine si può ragionare solo di “segnali o scenari possibili”, il caldo anomalo sull’Italia, che dovrebbe durare fino a metà novembre, la possibilità che poi si verifichino sul nostro Paese eventi estremi “è un problema che sicuramente si presenterà quando questo tipo di circolazione cambierà”.
Lo conferma il meteorologo Pierluigi Randi, presidente di Ampro, l’Associazione meteo professionisti italiani, dando la sua lettura di una situazione che conferma il 2022 come anno decisamente anomalo e destinato a entrare nella storia come il più caldo di sempre.
“Diciamo che dovessimo fare una scommessa in tal senso oggi, le probabilità di perderla sarebbero ben poche”, ammette.
La temperatura del mare e gli eventi estremi
Da quasi un mese, ricorda il meteorologo, la Penisola è interessata da un’area di alta pressione subtropicale proveniente da centro-sud e dal Mediterraneo. Ma non sono solo le temperature dell’aria a essere anomale. “Dopo i picchi toccati in estate – ricorda Randi – il mare rimane inoltre ancora caldissimo, con 4-5 gradi in più delle medie registrati nelle acque superficiali”.
“Quando arriverà un’area depressionaria – prosegue – questo calore si sprigionerà sotto forma di energia che potrà essere sfruttata dai temporali. È per questo che è corretto ritenere piuttosto alto il rischio di eventi estremi. Riguardo ai quali va detto che non è dato sapere dove esattamente si verificheranno, anche se possiamo tranquillamente dire che tutta l’area mediterranea è da considerare a rischio”.
I tipi di eventi estremi e lo “zero termico”
Va detto che anche le temperature di questi giorni di ottobre vanno considerate “evento estremo”, perché questi possono essere di vari tipi.
“Il rischio maggiore che possiamo attenderci – precisa il presidente Ampro – è quello di temporali molto violenti sulle zone costiere, soprattutto tirreniche, ioniche e delle isole maggiori. In montagna, invece, potrebbe verificarsi un eccesso di precipitazioni su Alpi e Appennini, soprattutto nelle zone rivolte a ovest e a sud”.
Parlando di montagna, per capire se le precipitazioni saranno piovose o nevose bisogna guardare allo “zero termico”: più alto è, maggiore è la probabilità di piogge anche a quote elevate. “E adesso – fa il punto il meteorologo – siamo a 3.500-4.000 metri invece di 2.000-2.500. Finché la situazione rimarrà simile all’attuale, a meno di un calo di temperature a oggi imprevedibile, la probabilità di vedere nevicate è bassa, tranne che su qualche cima delle Alpi, mentre è esclusa sugli Appennini”.
La siccità
Almeno un pericoloso fenomeno, collegato a quello delle piogge in alta quota, per fortuna può comunque essere escluso.
“Non avendo nevai da fondere vista la poca neve presente sulle Alpi – illustra Pierluigi Randi – i rischi tipici della primavera non si presenteranno”.
La poca neve, però, è segno anche di quella carenza idrica che, pur meno grave di luglio e agosto, è “tutt’altro che risolta”. Non è bastata cioè un po’ di pioggia a settembre, visto che sta mancando a ottobre, solitamente uno dei mesi più piovosi.
“La Pianura Padana – illustra il meteorologo – è assolutamente alle prese con la siccità. Il centro ha avuto un po’ più di piogge, così come la Sicilia, dove anzi, in alcune zone, è stata pure troppa. Da inizio anno manca tra il 25% e il 30% di precipitazioni. Va anche ricordato che la siccità in corso è iniziata già nel 2021 e, più diventa lunga, più serve tempo per risolverla. Le prossime piogge potranno così essere solo la classica “pezza”. E mentre il sud può contare sull’inverno, al nord la stagione fredda è la meno piovosa, insieme all’estate, quindi si deve puntare sull’autunno, altrimenti il problema nel 2023 rischia di diventare davvero serio”.
2002, l’anno più caldo
A due mesi dalla fine dell’anno, intanto, è vicino un record.
“Il 2022 – afferma il presidente dei meteo professionisti italiani – si avvia a essere l’anno più caldo non solo dal dopoguerra, ma direi da quando iniziano le rilevazioni, ovvero dai primi dell’Ottocento, quando fu realizzata la prima mappatura dettagliata della penisola italiana. A meno di un’era glaciale a novembre e dicembre, questo è dunque destinato a posizionarsi al primo posto della serie storica degli anni più caldi”.
Ma cosa dicono, le previsioni per gli ultimi due mesi dell’anno? “Dalla seconda metà di novembre e per la prima parte di dicembre – conclude Randi – c’è qualche segnale di un ritorno a condizioni termiche più normali, con una situazione più instabile e la ripresa delle precipitazioni sull’area mediterranea. In una scala basata su 3 classi, c’è una leggera probabilità che queste saranno superiori alla norma. Sono scenari di macro area tutti da confermare, ma direi di prenderli come buon auspicio, altrimenti la situazione potrebbe diventare veramente critica”.
Alberto Minazzi