Dall’introduzione del 2002, per la prima volta la moneta europea sotto la parità rispetto a quella statunitense
La soglia psicologica della parità (1 euro vale quanto 1 dollaro) è stata superata per la prima volta in 20 anni.
Da quando cioè (era il 2002) la moneta unica dell’Unione Europea prese il posto delle principali valute nazionali (dalla lira italiana al marco tedesco, dal franco francese alla peseta spagnola, con la sola esclusione della sterlina inglese), non era mai successo che il tasso di cambio con la moneta americana si attestasse sullo “zero virgola”.
Le fluttuazioni, come succede sui mercati finanziari, in queste ore continuano, anche se sempre sotto la parità. Ma domenica 4 settembre, con la chiusura a 0,9892 (e una punta minima a 0,9883), è stata sfondata anche la soglia degli 0,99 centesimi, a conferma di una discesa iniziata a inizio 2022, con l’aggiunta del conflitto tra Russia e Ucraina, e le conseguenze sui mercati europei del gas, alle incertezze economiche già registrate nei mesi precedenti.
A fine 2021 si poteva infatti scambiare un euro ottenendo in cambio 1,1326 dollari. E l’ultima punta massima, nell’arco dell’anno, è quella del 4 febbraio, con un tasso a 1,1464.
Nell’ultimo anno, poi, la perdita è calcolata attorno al 12%.
Tra le conseguenze della debolezza dell’euro, ce ne sono di negative e di positive, sui mercati internazionali.
Tra le prime, l’aumento dei prezzi delle materie prime importate, che colpisce soprattutto le imprese energivore. Ma, a cascata, come testimonia l’andamento dell’inflazione, a rimetterci sono gli stessi consumatori finali, sui quali vengono riversati i costi sostenuti dai produttori.
In teoria, un euro debole potrebbe invece favorire le esportazioni. Ma proprio i maggiori costi di produzione rischiano di vanificare questo effetto.
Potrebbero invece aumentare i flussi turistici dagli Stati Uniti verso l’Europa, così come gli investimenti immobiliari degli Americani nel Vecchio Continente. E, sempre sul fronte degli investimenti, hanno vantaggi anche gli Europei che, a suo tempo, hanno puntato su prodotti finanziari in valuta statunitense.