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Primo contagio Covid da gatto a uomo. Gli esperti: non è spillover

Primo contagio Covid da gatto a uomo. Gli esperti: non è spillover

Castagnaro (Università di Padova): “Potenzialità mai esclusa, ma stiamo tranquilli”

Uno starnuto in faccia alla veterinaria che gli stava effettuando un tampone di controllo. È questo, avvenuto lo scorso agosto nel sud della Thailandia, il primo caso accertato al mondo di trasmissione dell’infezione da Sars-CoV-2 da un gatto all’uomo.
Quella che finora era solo un’ipotesi adesso è stata confermata dal risultato dello studio dei genomi virali effettuato da ricercatori della Prince of Songkla University, pubblicato dalla rivista Emerging Infectious Diseases e ripreso da Nature.
“La potenzialità che si potesse verificare una simile eventualità – commenta Massimo Castagnaro dell’Università di Padova – non era mai stata esclusa e non ci stupisce. Ma possiamo stare tranquilli: è sbagliato dedurne che i gatti abbiano assunto o possano assumere un ruolo significativo nella trasmissione del Covid all’uomo”.

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Massimo Castagnaro

Gatti, uomo e Covid

Tecnicamente, il passaggio di un virus da una specie a un’altra viene chiamato “spillover”.
“Ma quello del gatto thailandese – precisa l’ordinario di Patologia generale veterinaria – non è un caso di spillover”.
“Reverse spillover”, lo ha definito la scienziata Ilaria Capua in un’intervista al Corriere della Sera.
In altri termini, il gatto ha preso il virus dall’uomo e poi lo ha ritrasmesso a un altro uomo.
“Lo sapevamo – riprende Castagnaro – che gatti, cani e mustelidi possono moltiplicare a livello abbastanza significativo il virus. Il fatto che questo possa albergare in una certa quantità nei gatti ci porta a non stupirci della trasmissione alle persone, tanto più che non conosciamo nel dettaglio le condizioni di chi si è infettato. Da questo a pensare che il gatto possa diventare un serbatoio della malattia, però, ne passa”.
La variante riscontrata nel caso thailandese è la Delta. Anche se, riguardo all’incidenza delle mutazioni il rappresentante dell’Unipd precisa: “Tutti gli studi si basano sui primi ceppi del Sars-CoV-2, per cui non sappiamo ancora nulla, non avendo dati a riguardo, su come le varianti si comportino sugli animali. Il consiglio però resta sempre lo stesso: se il nostro gatto mostra possibili segnali di Covid, la cosa migliore è portarlo dal veterinario”.

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Per ora nessun allarme

Tutti gli esperti che hanno commentato la notizia giunta dalla Thailandia, in ogni caso, hanno escluso qualunque tipo di allarme. Anche perché, considerata la diffusione dei gatti nel mondo, il fatto che solo ora sia stato confermata la trasmissione da animale a uomo sembra indicare che questo tipo di contagio sia tutt’altro che comune.
Nello specifico, la veterinaria contagiata dal gatto, un animale domestico di 10 anni, all’apparenza sano, è stata raggiunta dallo starnuto in quanto non aveva protezioni per gli occhi, pur avendo mascherina e guanti. E, dopo i giorni di incubazione, ha manifestato i primi sintomi della malattia, provocata da un virus con sequenziamento genetico identico a quello che aveva colpito il gatto e, ancor prima, padre e figlio che ne sono padroni.
Sempre Ilaria Capua ha sottolineato che i veri problemi deriverebbero da un eventuale “effetto domino” che potrebbe crearsi in seguito all’endemizzazione del virus in una popolazione di animali. “A quel punto si potrebbero selezionare virus diversi che potrebbero essere anche più aggressivi”, ha dichiarato nell’intervista al Corriere.

Le malattie dall’animale all’uomo

Lo studio thailandese ha dunque dimostrato che anche i gatti, così come i visoni, i criceti e i cervi, sono potenziali fonti di contagio da Sars-CoV-2.
“Il problema – allarga la prospettiva Massimo Castagnaro – è molto più ampio e diversi centri di ricerca vi si stanno focalizzando: non possiamo escludere che vi saranno altri spillover. Dobbiamo quindi concentrari sul monitoraggio anche di altri animali, con un sistema di monitoraggio di animali domestici e selvatici, ad esempio i pipistrelli, all’interno delle popolazioni in cui i virus si replicano”.

Alberto Minazzi

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Tag:  coronavirus