Openpolis: la retribuzione media nel nostro Paese sta precipitando
Lo stipendio medio dei lavoratori italiani è di soli 21.462,62 euro l’anno, vale a dire circa 1.533 euro al mese.
Cifra che ci dice che i lavoratori del nostro Paese guadagnano meno di gran parte degli altri cittadini europei, che viaggiano su ben altre medie.
Secondo una ricerca di Openpolis, nel trentennio tra il 1990 e il 2020, il divario tra i salari italiani e gli stipendi degli altri Paesi registra il 2,9% in meno.
Se poi il confronto si fa con gli stipendi più comuni, che si aggirano attorno ai 1200 euro, la differenza si fa ancora più marcata.
I lavoratori che guadagnano di più sono quelli di Svizzera, Islanda e Norvegia.
Rispettivamente, ogni anno possono contare su un reddito di 67.658,78; 43.067,42 e 42.443,03 euro.
Nella classifica delle nazioni, mentre alla fine del secolo scorso gli stipendi italiani si collocavano in una fascia di mezzo, ora hanno fatto scendere il nostro Paese dal settimo al tredicesimo posto.
Un dato che desta preoccupazione se si pensa che, ad esempio in Germania, le retribuzioni sono cresciute del 33,7% e in Francia del 31,1%.
Rispetto agli Stati dell’Europa centrale e orientale che hanno visto aumenti salariali consistenti, partendo da livelli comunque molto bassi e a quelli dell’Europa meridionale, che si sono mantenuti su variazioni modeste ma comunque in crescita, l’Italia risulta l’unico Paese ad aver visto diminuire gli stipendi medi.
Salari che sono in continua discesa e che la collocano tra i Paesi dove si guadagna meno.
L’aumento maggiore si è registrato nei Paesi dell’ex blocco sovietico, in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, dove il salario è raddoppiato.
Le percentuali più alte sono state riscontrate nei Paesi baltici – Estonia, Lettonia e Lituania – dove sono più che triplicati.
In Italia l’inflazione corre veloce e il potere d’acquisto si sta sempre più indebolendo.
Sulla questione si è espresso in un’intervista a la Stampa il commissario europeo per il Lavoro Nicolas Schmit. «Credo che si debba tenere la dinamica dei salari vicino all’aumento globale dei prezzi così da non deprimere la domanda globale, che altrimenti crollerebbe».