Centinaia di migliaia di giovani sono espatriati non volendosi assoggettare al pensiero del regime.
Ma il 70% della popolazione rimasta è con Putin
Forse ha ragione la premier della Finlandia, Sanna Marin, quando dice che quanto ha fatto la Russia con l’aggressione all’Ucraina “è’ un punto di svolta per l’intera famiglia europea e il mondo intero” aggiungendo che “non è possibile tornare ai rapporti che c’erano prima”.
Helsinki lo sa bene: con la Russia condivide oltre 1.300 km di frontiera.
“Helsinki lo sa bene,” conferma Aldo Ferrari, professore all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore delle ricerche Ispi su Russia, Caucaso e Asia centrale che affronta il tema del conflitto russo-ucraino da un quadrante poco osservato: la gioventù, i Millennials russi.
“Per cominciare, va detto che le generazioni più giovani e istruite la pensano esattamente come i coetanei europei e americani – spiega-. In Russia assistiamo a numerosi segnali di lotta alla censura e al pensiero mainstream, anzi molti giovani russi in questi tre mesi di guerra hanno fatto una scelta più radicale: hanno abbandonato il loro paese. Molte centinaia di migliaia di giovani sono espatriati per approdare proprio in Finlandia e nei paesi baltici, ma anche in Armenia, in Georgia, o in Turchia. Le stime parlano di un milione e mezzo, due milioni di persone prevalentemente giovani che, senza essere ufficialmente emigrate, se ne sono andate spesso con la famiglia”.
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Nulla sarà come prima davvero, quindi?
“Sì, anche perché la maggioranza di questi expats sono giovani che lavorano in settori di avanguardia, nell’hi-tech, nell’informatica, nel mondo dei media o impegnati in start-up innovative: così la Russia, la sua economia, ha perso, almeno per il momento, migliaia di giovani brillanti, dinamici, motivati. Una vera fuga di cervelli 2.0. Un’emorragia dettata dal fatto che le prospettive politiche, sociali e culturali russe ai giovani con questo tipo di formazione non vanno bene e quindi via all’estero”.
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Però la popolazione russa non è fatta solo da queste élite contrarie alla guerra, alla censura, all’inibizione dei diritti civili…
“Questo è il punto. La Russia comunque non si è “svuotata” e secondo recenti sondaggi indipendenti, quindi non direttamente controllati dal potere autocratico, più del 70% della gente
sostiene Putin e la sua politica. E posso confermare che questo è un dato reale. Putin è stato contestato dai cittadini più per l’aumento dell’età pensionabile di alcuni anni fa che per la
guerra in Ucraina con schiere di ragazzi in divisa mandati a morire”.
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Allora perché l’Occidente, gli Usa, la stessa Unione europea non hanno investito nell’aspirazione e richiesta di libertà e democrazia di queste generazioni “avanzate” come fu invece per le rivoluzioni nei Paesi nordafricani dalla Tunisia all’Algeria all’Egitto o ai tentativi più o meno pilotati in Iran?
“La Russia, in particolare la Russia di Putin, ha sempre visto con molta ostilità quei canali di comunicazione tra queste fasce giovani di popolazione e le strutture politico-economiche e culturali occidentali, in particolare le ong progressivamente smantellate proprio perché considerate agenti stranieri”.
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Eppure Coca Cola e McDonald’s, senza essere ong, fino all’invasione dell’Ucraina erano di casa in Russia.
“Diciamo che erano sigle apolitiche. Invece ormai da diversi anni vengono messe fuorilegge tutte quelle strutture associative che potrebbero diffondere tra la gioventù russa idee antagoniste al pensiero e all’azione del Cremlino. Queste idee circolavano comunque, procurate su internet o viaggiando, quando ancora i ragazzi potevano, ma proprio l’esempio delle cosiddette “rivoluzioni colorate” in Georgia e Ucraina del 2003 e 2004 e poi la Primavera Araba hanno fatto scattare la reazione di Putin e del suo circolo, che ha portato alla chiusura sistematica e al bando di tutti queicanali. Il pericolo è stato percepito, l’Occidente ha fatto dei tentativi ma questa partita è stata almeno parzialmente vinta dalla macchina repressiva-preventiva dello stato russo”.
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Ulteriore conferma di quella che potrebbe essere definita la “Sindrome di Alexander Nevsky”, il secolare terrore della Russia di essere invasa: con le armi, fin dal XIII secolo con i cavalieri teutonici, ai polacchi nel 1610 che tentarono di imporre sul trono russo un sovrano cattolico, a Napoleone, a Hitler, per arrivare a oggi con la percezione di un accerchiamento da parte della Nato, ma anche con penetrazioni immateriali come internet, i social, il pensiero e i micro-sabotaggi anti establishment dei nuovi “partigiani semiotici”…
“Proviamo ad adottare, in prospettiva storica, la percezione russa. Non voglio dire che abbiano ragione, tuttavia l’espansione della Nato verso Est è vissuta in Russia come una nuova pagina delle secolari minacce provenienti da occidente. Per noi è una prospettiva inconsueta e forse inaccettabile ma che non possiamo non considerare quando ci muoviamo in direzione della Russia. Inoltre, non va dimenticato che fin dai primi anni Duemila sono entrati nella Ue e nella Nato paesi fortemente russofobi – e qui ne andrebbero studiate attentamente le ragioni storiche – portando all’interno di queste istituzioni una implacabile ostilità nei confronti della Russia che alla lunga ha preso il sopravvento, prima appoggiata dalla Gran Bretagna in seguito uscita dall’Unione europea ma non dalla Nato, e sostanziatasi perché corrispondente agli interessi degli Usa. Questa sponda fra il blocco baltico-polacco, la Gran Bretagna e l’America a mio giudizio ha influito negativamente e molto nei rapporti fra Russia, Ue e in genere l’Occidente”.
Agostino Buda