“A gennaio nessuno credeva che l’aggressione russa potesse diventare una vera guerra.
Come sonnambuli, abbiamo lasciato passare anni senza ritenere che fosse necessario fare qualcosa”
Tre mesi di guerra. Novanta giorni di ritorno al passato nel calendario della storia con morti, feriti, distruzioni: scenario da guerre mondiali più che da Guerra Fredda.
E infatti, Umberto Vattani, ambasciatore, già Segretario generale del ministero degli Esteri a più riprese e oggi presidente della Venice International University, non si lascia sfuggire il collegamento storico con la vigilia della Grande Guerra e quei segnali che allora nessuna potenza seppe interpretare.
“Nel 1914, bastarono 37 giorni dall’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo a Sarajevo perché l’Europa si ritrovasse in guerra. Eppure nessuna capitale, nessuna cancelleria si aspettava di finire in un conflitto. E nessuno lo voleva – ricorda Vattani –. Tuttavia, un meccanismo inarrestabile condusse quasi fatalmente a una guerra di dimensioni catastrofiche. Lo storico australiano Christopher Clark ha scritto I sonnanbuli – Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra che spiega bene, anche perché non attribuisce la colpa a nessuno, come da fatti che abbiamo visto anche in questo caso, si arrivi a una guerra pazzesca, a una conflagrazione mai vista prima”.
Il fallimento della diplomazia
Aggressioni e resistenze, sanzioni e nazionalismi, bombardamenti e fake news: la lezione è che non bisogna mai scherzare con i conflitti. Ieri come oggi.
“Proprio così. A dicembre, a gennaio nessuno credeva che l’aggressione russa all’Ucraina potesse divenire una vera guerra – rileva ancora l’ambasciatore -. Però, tutti da tempo, da anni, sapevano che la Nato puntava ad allargarsi all’Ucraina e alla Georgia, così come era evidente l’altolà duro e violento di Mosca che non avrebbe mai accettato un disegno del genere. Tutti, come sonnanbuli abbiamo lasciato passare anni, mesi, infine settimane senza ritenere che fosse necessario fare qualcosa. E’ stato il fallimento della diplomazia”.
Come leggere, allora, la decisione di Svezia e Finlandia, due tra i paesi storicamente “più neutrali” di non essere più “sonnanbuli” e aderire alla Nato?
Lo storico allarme russo
“Partiamo dalle parole e dalle dichiarazioni. A cominciare da Putin, che non ha mai avanzato rivendicazioni verso quei due Paesi. Eppure per una nazione, la Russia, che nel corso dei secoli ha
subito feroci invasioni, l’eventualità che ce ne possano essere altre mette in allarme tutto l’apparato, non solo il Cremlino. E mi riferisco alla campagna di Napoleone che riuscì ad arrivare a Mosca e alla selvaggia Operazione Barbarossa di Hitler del 1941. E non furono gli unici, pensiamo all’invasione dei Cavalieri teutonici. Insomma, la Russia che ha un territorio sterminato ma con una popolazione decisamente ridotta, per effetto anche dello smembramento dell’Unione Sovietica, è storicamente sempre in allarme per l’integrità del proprio suolo. La Russia non è un “grande paese”, ma l’Occidente dovrebbe essere sempre attento, perché non è detto che il nuovo sia meglio del vecchio”.
Gli snodi del potere a Mosca lo insegnano, anche solo partendo da Gorbaciov, regista “interrotto” di perestrojka e glasnost a “Corvo bianco” Eltsin, con il suo arringare la folla da un carro armato (a
ognuno il suo predellino, verrebbe da dire) e da vent’anni l’ex agente Kgb, Vladimir Putin.
Ma, in questo grande risiko mondiale, un altro attore nuovo, seppure esterno, ha fatto sapere di esserci e voler contare anche in questa partita, la Cina.
I due scenari e la necessità di riflettere con lungimiranza
“La promessa “olimpionica” di amicizia senza limiti tra Xi Jinping e Putin può essere interpretata in vari modi, però è indubbiamente una dichiarazione di cui non si può trascurare l’importanza. Oggi la Cina sta aspettando. Attende di vedere cosa succede. Allora, si possono disegnare almeno due scenari.
Uno, meno disastroso con la Russia indebolita dalla guerra e la presenza di un leader al Cremlino capace di tenere assieme i vari territori ricchi di materie prime e risorse naturali, ma in realtà a rimorchio della Repubblica popolare cinese, che beneficerà di queste risorse preziose di cui presto noi europei soffriremo la mancanza.
Per l’altro scenario direi che va ricordata una vecchia regola della politica per cui le possibilità non sono tra un’opzione buona e una cattiva bensì tra una cattiva e una disastrosa: forse allora è opportuno riflettere con lungimiranza prima di imbarcarsi in operazioni dal futuro sconosciuto”.
Il Papa, pellegrino di pace ed esempio di diplomazia
Guerra e pace. Guerra e negoziato. La trattativa può vedere un ruolo importante per la Santa Sede e il Pontefice.
“Per la Chiesa romana i conflitti sono sempre un momento negativo nella storia dei popoli, delle nazioni: perdita di vite umane, sofferenze, disastri e distruzioni. Quale può essere allora
l’atteggiamento del rappresentante più importante della Chiesa Cattolica che guarda alla fratellanza, alla comprensione reciproca, all’amore che ognuno è chiamato ad avere per il prossimo, se non
quello di farsi pellegrino di pace e di operare per attenuare le tensioni. Al contrario di altri leader religiosi, mai sentiremo un Papa di Roma esprimersi con toni violenti nei confronti di chiunque. E da diplomatico, devo dire che è quanto proprio la diplomazia dovrebbe fare davvero”.
Agostino Buda