All’origine dei casi asintomatici vi sono almeno tre mutazioni genetiche rare
Chissà quante volte ci siamo chiesti perché alcune persone contraggono il virus senza presentare i caratteristici sintomi della malattia e altre finiscono intubate o muoiono.
La risposta arriva ora dagli studiosi del Ceinge-Biotecnologie di Napoli diretto dai due docenti di Genetica medica dell’Università Federico II Mario Capasso e Achille Iolascon.
I dati della ricerca, condotta in collaborazione anche con l’Istituto Zooprofiliattico di Portici e pubblicata sulla rivista Genetics in Medicine, dicono che almeno tre mutazioni genetiche rare sono all’origine dei casi asintomatici di Covid-19.
La scoperta
Lo studio si è basato sull’analisi dei campioni di Dna di circa 800 persone che non hanno manifestato sintomi dopo l’infezione da Sars CoV2 pur avendo fattori di rischio come l’età avanzata.
«Sono stati utilizzati tutti i geni finora conosciuti utilizzando sequenziatori di ultima generazione e ottenendo così un enorme mole di dati genetici. Oggi è ampiamente dimostrato – sottolinea Capasso – che l’eccessiva risposta immunitaria all’infezione e la successiva iper-attivazione dei processi pro-infiammatori e pro-coagulativi sono la causa principale del danno ad organi quali polmoni, cuore, rene. La nostra ricerca dimostra che le mutazioni del genoma umano che attenuano questa eccessiva reazione immunitaria possono predisporre a un’infezione senza sintomi gravi».
I tre geni che rendono alcune persone asintomatiche sono Masp1, Colec10 e Colec11 e appartengono alla famiglia delle proteine della lectina coinvolta nel processo di riconoscimento cellulare.
I dati disponibili on line per sviluppare nuove ricerche
Ulteriori analisi bioinformatiche avanzate hanno permesso di identificare mutazioni patogenetiche rare che erano significativamente più frequenti nei soggetti infetti e asintomatici e non in una grande casistica di circa 57 mila soggetti sani.
I dati ottenuti dalla ricerca sono ora disponibili in un database on line e accessibili per tutti i ricercatori che volessero consultarli per sviluppare nuove ricerche.
«L’analisi genetica di queste mutazioni integrate con altri dati genetici – continua Iolascon – possono essere utilizzate per individuare le persone predisposte a sviluppare forme meno gravi o asintomatiche della malattia. Un altro livello di applicazione riguarda l’analisi delle proteine prodotte dai tre geni. Sono indicatori dell’infiammazione e dosandole nel sangue dei pazienti, in studi allargati, potremmo individuare chi è predisposto alle forme più o meno gravi».
Le applicazioni farmacologiche
Vi è anche l’aspetto non trascurabile delle applicazioni farmacologiche.
«Si potrebbero per esempio testare – conclude il ricercatore – anche sui malati di Covid-19 farmaci attivi contro i tre geni, sperimentati in passato contro altre malattie infiammatorie. Per il futuro, l’obiettivo è di completare la raccolta dei Dna in considerazione del fatto che la reazione all’infezione da virus SarsCoV2 rappresenta un tratto complesso dovuto a diversi fattori come età, sesso, genetica. Questo sarà possibile grazie alle analisi bioinformatiche avanzate e a sequenziatori di nuova generazione che permettono di leggere l’intero genoma di una persona».
Long Covid: ancora almeno un sintomo due anni dopo l’infezione
Uno studio con il più lungo follow up finora pubblicato, uscito su “The Lancet Respiratory Medicine”, rivela per contro che, due anni dopo aver avuto l’infezione da Covid, oltre la metà dei pazienti presi in considerazione e che all’epoca vennero ricoverati in ospedale, presenta ancora almeno un sintomo.
Il monitoraggio ha seguito 1.192 pazienti in Cina durante la prima fase di pandemia nel 2020 e ricoverati a Wuhan tra il 7 gennaio e 29 maggio 2020.
I risultati dicono che, pur se migliorati nel tempo in salute fisica e mentale, i pazienti tendono comunque ad avere una salute e qualità di vita peggiore rispetto alla popolazione generale. E presentano almeno un sintomo della malattia tra cui affaticamento, mancanza di respiro e difficoltà di sonno pur se sono passati due anni da quando si sono ammalati. In particolare, i miglioramenti si sono visti indipendentemente dalla gravità della malattia. A sei mesi dalla guarigione il 68%dei pazienti segnalava almeno un sintomo. Percentuale rimasta alta dopo due anni pur essendo scesa al 55%.
Silvia Bolognini