Alla Cop 15 di Abidjan si studiano soluzioni mondiali per la gestione sostenibile del suolo
Quando si pensa alla desertificazione del suolo e alla siccità, le prime immagini che vengono alla mente sono quelle dell’Africa, dove effettivamente oltre metà della superficie continentale è a rischio.
Oppure a India e Pakistan, colpiti in questi giorni da un’ondata anomala di caldo, con punte vicine ai 50 gradi.
In realtà, la desertificazione riguarda anche l’Europa e la fascia mediterranea in particolare, che devono ugualmente fare i conti con il degrado del suolo in aree aride, semiaride e subumide. Anche l’Italia, dove la percentuale di territorio a rischio è stata stimata nel 20%, 5 anni fa, dalla Corte dei Conti europea.
Cop 15: l’allarme desertificazione
Delle soluzioni per provare a frenare questo fenomeno, attraverso una gestione sostenibile del suolo, dal 9 al 20 maggio stanno discutendo alla Cop 15 di Abidjan, in Costa d’Avorio, le delegazioni dei 197 Paesi firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (Unccd).
Punto di partenza, il secondo Global Land Outlook appena pubblicato dall’Onu.
L’allarme lanciato dal rapporto, aggiornato dopo 5 anni di lavoro, è chiaro: il degrado del suolo colpisce metà della popolazione mondiale, con il 40% della superficie terrestre degadrata.
Una situazione che si traduce anche in una minaccia economica, con circa metà del pil planetario (44 mila miliardi di dollari) a rischio.
Le tre ipotesi fino al 2050
“Dobbiamo ripensare urgentemente – sottolinea il segretario esecutivo dell’Unccd, Ibrahin Thaw – i nostri sistemi alimentari globali, che sono responsabili dell’80% della deforestazione, del 70% dell’uso di acqua dolce e la principale causa di perdita di biodiversità terrestre”.
Il rapporto prospetta quindi 3 ipotesi di qui al 2050, a seconda che si continui senza fare nulla, si ripristini una porzione di 5 miliardi di ettari di superficie (il 35% di quella globale) o si aggiunga al ripristino anche la protezione di aree importanti.
E la conclusione principale è che il primo scenario “non è un percorso praticabile per la nostra sopravvivenza e per continuare in prosperità”.
Tra le conseguenze prospettate, un ulteriore degrado del suolo per una superficie di 16 milioni di km quadrati, pari cioè all’intero Sudamerica, un calo persistente della produttività dei terreni agricoli tra il 12% e il 14% e un’emissione di ulteriori 69 gigatonnellate di carbonio.
Le conseguenze dei tre scenari
Il Global Land Outlook propone centinaia di esempi, provenienti da tutto il mondo, sul potenziale di ripristino del territorio. Le misure vanno dall’agroforestazione, alla gestione del pascolo, alla rigenerazione attuale assistita. Il secondo scenario consentirebbe tra l’altro, rispetto al primo, un aumento tra il 5% e il 10% dei raccolti, una capacità di ritenzione idrica del suolo superiore del 4% nei terreni coltivati dalla pioggia e una perdita di biodiversità ridotta dell’11%.
Il report stima anche i ritorni economici del ripristino del suolo e della riduzione del degrado, delle emissioni di gas serra e della perdita di biodiversità. Si parla di un guadagno tra i 125 e i 140 trilioni di dollari l’anno.
I risultati, ovviamente, sarebbero ancor più significativi se, come nel terzo scenario, al ripristino si accompagnassero anche misure di protezione di aree importanti per la biodiversità, la regolamentazione delle acque, la conservazione del suolo e degli stock di carbonio. Si aggiungerebbero infatti altri 4 milioni di km quadrati (pari alla superficie di India e Pakistan) di aree naturali strappate al degrado, la perdita di biodiversità verrebbe ridotta di un terzo e si eviterebbero emissioni per ulteriori 83 gigatonnellate di carbonio: una quantità pari a quella prodotta in 7 anni.
L’Italia e la desertificazione
Sono stati diversi, negli ultimi anni, gli studi sul rischio di desertificazione in Italia.
Nel 2015, il Cnr aveva stimato nel 4,3% la percentuale di territorio italiano già da considerarsi sterile e nel 4,7% quella che aveva subito fenomeni di desertificazione. Un rischio che riguardava il 21% del territorio nazionale, il 41% del quale al Sud, con una punta del 70% in Sicilia.
A giugno 2021, poi, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente aveva quantificato nel 10% la quota di territorio italiano molto vulnerabile più un altro 49% mediamente vulnerabile.
Le zone rosse
Lo European Drought Observatory aveva quindi collocato in “zona rossa” per rischio desertificazione le aree interne di Abruzzo e Molise e la provincia di Siracusa, in Sicilia.
Il tema della desertificazione del suolo era stato al centro, nel 2018, anche di una relazione della Corte dei conti europea, che aveva lanciato l’allerta soprattutto per i Paesi mediterranei: dal Portogallo meridionale, alla Spagna, dall’Italia del Sud al sud-est greco, fino a Malta, Cipro e coste del Mar Nero bulgare e romene.
In Italia, le aree italiane a rischio desertificazione sono aumentate, sempre per la Corte dei conti europea, di 177 mila km quadrati, portando il totale di aree minacciate seriamentedalla degradazione del suolo a 645 mila km quadrati, il 20% della superficie totale.
Alberto Minazzi