Cacopardo: “Anche le mascherine possono aver giocato un ruolo”
Comincia a intravedersi un po’ di verità in fondo al tunnel del mistero della grave forma di epatite acuta che ha colpito almeno un paio di centinaia di bambini in tutto il mondo.
“L’ipotesi al momento più plausibile e che a me sembra corretta – fa il punto Bruno Cacopardo, direttore dell’Unità Operativa Complessa Malattie infettive del Garibaldi-Nesima di Catania – è che la causa di queste epatiti sia riconducibile a una co-infezione da adenovirus e un altro agente infettante, forse il Covid-19”.
Dall’adenovirus all’epatite (passando per il Covid)
L’ipotesi, ovviamente, va confermata.
“Al momento – sottolinea Cacopardo – l’unico dato certo è la mancanza di un rapporto tra epatite e vaccinazione”. E vanno fatte alcune precisazioni preliminari.
“Questa epatite – prosegue il medico – non è correlata a tutti gli adenovirus, ma solo ad alcuni suoi specifici ceppi. In particolare, si parla del ceppo “41”, ma potrebbero esserne interessati anche altri”.
In questo contesto, il Sars-CoV-2 si inserirebbe in sinergia con l’adenovirus, potenziandone gli effetti.
“Mi sento di sottoscrivere – afferma Bruno Cacopardo – questa osservazione. Va però specificato che il long Covid agirebbe solo come una sorta di “grilletto”, facilitando l’infiammazione epatica derivante dall’adenovirus. In altri termini, senza questa interazione è altamente improbabile che il Covid da solo possa portare a epatiti gravi nei bambini”.
L’adenovirus e le mascherine
Le perplessità iniziali, riguardo a una possibile connessione tra adenovirus ed epatite, si legavano al fatto che, normalmente, questo tipo di virus non porta a questo tipo di infiammazioni gravi, tanto più nei bambini.
“L’ipotesi – spiega il professore – è che, attraverso la frequente esposizione all’adenovirus, l’organismo si abitua a riconoscerlo e si tutela così da ulteriori complicanze. Con le mascherine, abbiamo ridotto la circolazione dell’adenovirus e questo potrebbe aver portato a produrre infezioni più complesse e sistemiche”.
E anche in questo la sinergia con il Covid giocherebbe un ruolo.
“Si sta lavorando sull’ipotesi legata al fatto che, su 180-190 casi conosciuti di questa forma di epatite, circa 60-70 persone venivano fuori da una recente infezione da Sars-CoV-2 e questo potrebbe aver indotto una risposta immunologica più forte”.
Non sorprende il medico siciliano, invece, il fatto che l’epatite riguardi i bambini.
“La fascia di età dei soggetti maggiormente colpiti da adenovirus – ricorda – è normalmente tra l’età neonatale e i 15-16 anni”.
Nessuna allerta: possibili molti asintomatici
Bruno Cacopardo concorda comunque con la posizione sia delle autorità sanitarie, tanto italiane quanto europee, che con quanto affermato nelle ultime ore dal sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. “Non siamo ancora di fronte a cifre epidemiologiche tali da far scattare un’allerta o un’emergenza, ma serve comunque molta cautela. Questo perché il fenomeno si sta via via estendendo, sia perché la percentuale del 10% di bambini che ha avuto necessità di un trapianto indica la potenziale gravità delle conseguenze”.
Gravità comunque potenziale, in quanto il medico ammette che “probabilmente i casi asintomatici non conosciuti sono molti di più di quelli sintomatici: non sarebbe da meravigliarsi. È l’adenovirus che, generalmente, si comporta così, mostrandoci solo la punta dell’iceberg anche quando implica semplici infiammazioni gastro-intesinali”.
Epatite: alcuni consigli
Proprio per la somiglianza dei sintomi tra epatite e gastroenterite, il professore catanese dà un suggerimento, nel dubbio.
“Visto che vi sono anche casi di epatite anitterici, se nel bambino si manifestano sintomi intestinali perduranti o recidivanti attraverso un controllo delle transaminasi si può capire di fronte a che malattia ci si trovi. È comunque importante che casi del genere, anche periferici, siano conosciuti, identificati e segnalati. Condivido dunque la linea di Iss e Ecdc: senza creare nessun allarme, la raccolta dei dati, sul numero, la tipologia dei sintomi ed eventuali correlazioni, in questa fase è fondamentale”.
Alberto Minazzi