Gli infettivologi Cauda e Bassetti: “Fondamentale capirne le cause”
È arrivata anche in Italia. Anche se si ragiona ancora sul piano dei sospetti, sono stati individuati anche nel nostro Paese i primi 4 casi (ma sotto osservazione sono circa una decina) di bambini sotto i 10 anni colpiti dalla nuova epatite acuta grave che costringe al trapianto di fegato in 1 caso su 10.
Una malattia, quella individuata per la prima volta in Scozia, che resta ancora sostanzialmente un mistero, essendo state escluse tutte le forme note del virus.
“Vivendo in un mondo globale – commenta Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale Policlinico San Martino di Genova – i casi italiani non mi stupiscono, anche se personalmente non abbiamo visto negli ultimi mesi casi di epatiti a cui non abbiamo saputo dare un “nome e cognome”. Quel che fa paura è l’ignoto. E in questo momento siamo abbastanza nell’ignoto, visto che ci sono solo segnalazioni che non possono ancora essere ricondotte a una causa”.
“Nessuno – conferma Roberto Cauda, direttore dell’unità operativa complessa Malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma – in questo momento è in grado di capire bene di cosa si tratta, perché a livello mondiale siamo ancora nella fase di osservazione di un fenomeno di cui non si conosce nemmeno l’entità precisa”.
L’indagine dell’Ecdc
Dopo i primi casi nel Regno Unito, i casi di epatiti anomale gravi in età pediatrica sono stati registrati anche in Irlanda, Spagna, Danimarca e Olanda, oltre che negli Stati Uniti. L’European Ecdc ha dunque subito invitato gli Stati ad avere massima attenzione, avviando quindi un’indagine su larga scala per provare a individuare le cause della malattia.
Ci vorrà circa una settimana per avere i risultati. Ma, sottolinea Bassetti, già questo primo passo è importante.
“Sono stati coinvolti – sottolinea – numerosi infettivologi e pediatri per effettuare un confronto dei dati degli ultimi mesi e valutare se c’è stato in effetti un aumento dell’incidenza. La condivisione, in queste situazioni, è fondamentale e non a caso le possibili problematiche sono state immediatamente segnalate dai singoli Stati. È proprio sulle segnalazioni che dobbiamo lavorare per trovare un minimo comun denominatore tra i diversi casi”.
“I dati prontamente rilevati in Gran Bretagna – aggiunge Cauda – testimoniano come in quel Paese ci sia un buon sistema di sorveglianza. Ma anche in Italia, giustamente, è scattato subito l’allarme, con il warning di alcune Regioni, come il Lazio”. “Vanno evitati – riprende Bassetti – errori già commessi. Se, nel luglio 2019, la Cina avesse segnalato le prime polmoniti atipiche, avremmo avuto la capacità di intercettare il Covid molto prima”.
Epatite e Covid: c’è un nesso?
In attesa di saperne di più, il Covid, insieme ad altri adenovirus, sono dei possibili indiziati. Alcuni bambini colpiti dalla nuova epatite, infatti, sono recentemente stati positivi.
Ma tanto Cauda quanto Bassetti invitano a procedere con i piedi di piombo prima di parlare di veri e propri nessi tra le due malattie.
“In questo momento – dice l’infettivologo del Gemelli – praticamente tutto viene ricollegato al Covid. E, indubbiamente, dando luogo a una malattia di tipo sistemico, ne possono derivare alterazioni anche a livello del fegato, come vediamo soprattutto, ma non solo, negli anziani. Se dunque non possiamo escludere questa possibilità, al tempo stesso va prima di tutto dimostrata la connessione stringente tra agente patogeno e malattia, riguardo cui non c’è ancora nessuna evidenza”.
“Collegare le epatiti al Long Covid – conferma Bassetti – fa sorgere spontanee un paio di domande: perché adesso e perché solo in alcuni bambini? Eviterei dunque questo tipo di ragionamento, per evitare mistificazioni. Anche perché il Long Covid, specie nella prima fase, ha avuto effetti importanti anche per alcuni errori commessi non conoscendo bene il virus. E dopo il vaccino è tutto un altro mondo”.
Il mistero della nuova epatite
Al momento, dunque, è possibile ragionare solo sulla base di ipotesi.
Quel che finora è stato comprovato è che le epatiti non sono state provocate da nessuno dei 5 virus noti, catalogati dalla “A” alla “E”.
“Sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti – aggiunge Bassetti – si è escluso anche un collegamento con la vaccinazione, cosa che mi sembra importante”.
Le percentuali di popolazione interessata, poi, sono ancora basse e limitate ai bambini. “Ma non si può escludere che possa riguardare anche gli adulti”, precisa l’infettivologo del San Martino.
“Potremmo rientrare – ipotizza Cauda – in una forma nuova di epatite di cui non abbiamo conoscenza. A mio parere giustamente si è pensato per prima cosa a una forma virale, ma dopo aver escluso tutti i virus conosciuti si può solo pensare di essere di fronte a un nuovo virus non ancora isolato o a qualcos’altro. Anche se non mi sembra che si possa rientrare nell’ambito di epatiti autoimmuni, da farmaci o tossiche”.
“Anche se si pensa subito a un’epatite virale – interviene Bassetti – il fegato può essere colpito da infiammazioni provocate da tantissimi agenti infettivi. Basti pensare ai virus epatici minori, alla mononucleosi, al citomegalovirus, all’herpes. Anche l’ipotesi adenovirus è possibile, così come altre malattie infettive non note. Ma, ribadisco, al momento non c’è nessuna certezza su quale sia il microorganismo coinvolto. E non si possono escludere neppure connessioni con farmaci, alimenti o forme autoimmuni. Ripeto: è assolutamente fondamentale segnalare e condividere le informazioni quando ci si trova di fronte a un aumento delle transaminasi in cui sia esclusa una natura collegata ai virus dell’epatite dalla A alla E”.
L’epatite, i trapianti e i bambini
Il dato più inquietante, nella nuova epatite, è quello dell’evoluzione verso forme gravi, fino alla necessità di un trapianto. Tanto più riguardando i bambini.
“Pur con frequenze molto piccole – ricorda Cauda – tutte le epatiti, dalla febbre gialla in giù, teoricamente possono portare a forme fulminanti gravi. Siamo però sotto l’1%, con percentuali ancor più basse relativamente alla necessità di un trapianto di fegato. Questa forma, invece, appare di inusitata gravità”.
“Il tema dei trapianti che si sono resi necessari in 1 caso su 10 – ammette anche Bassetti – è tutto da capire, perché evidentemente c’è qualcosa che non va, visto che normalmente l’epatite non porta al trapianto. Così come va fatta chiarezza sul tema dei bambini, che ormai sono vaccinati contro l’epatite B ed è quasi impossibile prendano la C, oltre a presentare normalmente forme blande o comunque evoluzioni negative in quantità molto ridotta rispetto agli adulti”.
“Anche le epatiti A – aggiunge il medico del Gemelli – in età giovanile hanno per lo più un decorso benigno. E comunque tutte le forme di epatite sono diventate rare, vuoi per i vaccini che per il miglioramento delle condizioni socio-sanitarie. La stessa epatite C decorre spesso in forma silente e ci si accorge dell’infezione solo quando diventa cronica, ma comunque curabile con i farmaci. Potrebbe esserci, ipotizzo, qualche fattore nei bambini che li rende più fragili di fronte a questo nuovo tipo di epatite. Ma sono tutte ipotesi che lasciano il tempo che trovano: ci si può anche in questo caso affidare solo alla scienza, che procede sulla base dell’esperienza, dei tentativi e degli studi”.
Alberto Minazzi