Comparsa nel Regno Unito e monitorata dall’Oms, unisce Omicron e Omicron 2
È ancora del tutto minoritaria, essendo stata riscontrata in meno dell’1% dei casi sequenziati, ma una nuova variante del virus Sars-CoV-2 è ormai da considerarsi una realtà, almeno nel Regno Unito. E, sulla base dei primi riscontri, il mix di caratteristiche di Omicron e Omicron 2 in “Xe” (così è stata battezzata), la renderebbe del 9,8% più contagiosa di quest’ultima.
Xe è una delle cosiddette “varianti ricombinanti”, derivanti cioè dalla contemporanea infezione dello stesso individuo con due o più versioni dello stesso virus.
In questi casi, nel corpo dello stesso paziente il materiale genetico si rimescola, dando vita alla nuova mutazione del virus.
Xe, che presenta 3 mutazioni non presenti in tutte le sequenze dei ceppi BA.1 e BA.2, è stata rilevata per la prima volta nel Regno Unito il 19 gennaio 2022, riscontrando poi, al 22 marzo, il contagio con la nuova variante in 637 pazienti inglesi, sui 763 in tutto il mondo.
Un caso di Covid determinato dall’infezione con la nuova variante è stato di recente riscontrato anche in Thailandia.
Il monitoraggio
Sia l’Ukhsca, l’Agenzia sanitaria del Regno Unito, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno annunciato che il monitoraggio di Xe continuerà. Anche perché, come ha dichiarato in un comunicato ufficiale Susan Hopkins, consulente medico di riferimento presso l’Agenzia inglese, “Questo particolare ricombinante ha mostrato un tasso di crescita variabile e non possiamo ancora confermare se abbia un vero vantaggio di crescita”.
Perché una variante, sia essa dovuta all’incorporazione di un errore nel genoma del virus o a una ricombinazione, si affermi e soppianti quelle attualmente dominanti deve infatti presentare caratteristiche che consentano al virus una migliore possibilità di diffondersi.
In caso contrario, come avvenuto per molte varianti comparse dall’inizio della pandemia, questa scompare rapidamente.
Italia: al via nuova indagine sulle varianti
In Italia Xe ancora non sembra essere presente ma preoccupa per il suo potenziale grado di contagiosità.
Per questo, i campioni raccolti oggi, “corrispondenti a prime infezioni – si legge in una circolare firmata dal direttore della prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza – saranno analizzate tramite sequenziamento genomico”.
Al momento non ci sono particolari timori riguardo una potenziale maggior letalità, perché dati in questo senso non ne sono pervenuti ma si vuole evitare il rischio di ritrovarsi con il sistema sanitario al collasso come sta accadendo nel Regno Unito, dove, ha reso noto il consiliere del ministero della Salute Walter Ricciardi, gli interventi chirurgici hanno tempi d’attesa di 10 anni e per l’arrivo di un’ambulanza si attendono anche 20 ore.
Xe e le altre varianti ricombinanti
La rapidità di circolazione del virus porta dunque alla creazione di mutazioni sempre diverse.
Nelle scorse settimane, si è parlato di Deltamicron, che combinerebbe aspetti di Delta e Omicron, così come le altre 2 varianti ricombinanti citate con Xe dal Ukhsca nel documento del 25 marzo: Xd (inserita dall’Oms tra le varianti sotto monitoraggio e individuata finora in 49 casi, in Europa, principalmente in Francia) e Xf (di cui si è a conoscenza di 38 casi nel Regno Unito, anche se non è stata più rilevata dopo il 15 febbraio).
Oltre alla contagiosità, altri fondamentali tenuti sotto controllo nel monitoraggio di una variante, sono la gravità della malattia che è in grado di provocare e la potenziale capacità di eludere il vaccino. Informazioni che, riguardo a Xe ancora non sono a disposizione degli studiosi.
In attesa dell’emersione di “significative differenze” con le varianti in circolazione (al momento si collegano a Omicron e alle sue varianti il 99,7% dei casi mondiali di Covid; in Italia Omicron 2 è al 44% dei campioni), l’Oms continuerà quindi a considerare Xe come una sottotipo della famiglia Omicron.
Alberto Minazzi