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A Verona un nuovo Museo Archeologico Nazionale

A Verona un nuovo Museo Archeologico Nazionale

Tra il mondo degli umani e il mondo degli spiriti, nelle culture antiche, vi era lo Sciamano: un uomo con poteri soprannaturali, in grado di comunicare tra un aldiquà in movimento e un aldilà senza tempo.
Uno di loro, rapito dall’eternità, è tornato a parlare agli esseri umani della sua Storia prima della Storia grazie al nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona, che lo sciamano ha scelto come simbolo del suo disvelare.
La sede espositiva trova spazio nell’ex caserma asburgica di stradone San Tomaso, sul Lungadige.
Ha aperto al pubblico il 18 febbraio 2022 ed è la prima area dedicata alla Preistoria e alla Protostoria, focalizzata sui reperti dell’area veneta-veronese.

museo archeologico

 

Dalla preistoria al 1 secolo a.C.

“Il Museo è stato inaugurato dopo anni di lavoro e progettazione, iniziato con l’acquisizione dal demanio dell’ex caserma successivamente restaurata” racconta la neo-direttrice Giovanna Falezza, incaricata di portare avanti il progetto di Federica Gonzato, progettatrice originaria dell’esposizione.
Circa sei anni fa si è avuta una convergenza di fondi ministeriali destinati al suo allestimento e del lavoro archeologico decennale portato avanti dalle università di Ferrara, di Trento e della Soprintendenza SABAP di Verona.
Il risultato è l’apertura della prima sezione, la quale copre la (prei)Storia dal Paleolitico, 200.000 anni fa, fino al 1 secolo a.C., cui seguiranno una sezione dedicata a Roma e l’ultima all’Alto Medioevo.
“L’allestimento – continua la direttrice – è molto lineare, in linea con le tendenze espositive odierne. C’è stata una scelta del materiale esposto, corredato da installazioni audio-visive che renderanno evocativa e intuitiva la visita; le riproduzioni in calchi e plastici invece saranno utili per le attività didattiche”.

Tra i reperti, i più importanti riguardano i siti palafitticoli veronesi inseriti nella lista Unesco, dove il materiale organico (tra cui una spiga e un panino) si è mantenuto, nel fango, dall’età del Bronzo ai giorni nostri, restituendo stralci della vita quotidiana preistorica.
Sempre dalla stessa epoca proviene un pozzo ligneo, mentre dal Paleolitico superiore (40.000 anni fa) è arrivato il simbolo del Museo: lo Sciamano, dipinto di rosso, su una pietra ritrovata nella Grotta di Fumane. Una delle rappresentazioni umane più antiche al mondo.
“Il periodo coperto da questa esposizione ‘inizia’ da “quel luogo temporale ‘prima della storia’ rispetto al quale non abbiamo fonti scritte che possano aiutare nella ricostruzione storica; ci basiamo quindi su altri reperti, di origine paleobotanica e archeozoologica. Man mano che ci si avvicina – continua Giovanna Falezza – si hanno le prime fonti scritte e il passaggio alla Protostoria”. Un passaggio fondamentale, soprattutto per quanto riguarda l’area italica del Mediterraneo, dove le forti influenze culturali arrivarono esternamente da Etruschi e Greci che risalirono l’Adriatico. I reperti, provenienti tanto dall’Egeo quanti dall’area baltica, denotano già una ‘civiltà globalizzata’ ai tempi del Bronzo con società europee molto strutturate.

 

Un ritorno alle nostre radici

Reperti alla mano, si prova quindi a ‘raccontare una storia’, vecchia migliaia di anni.
“Una storia che riguarda le primissime fasi cronologiche della presenza umana nel nostro territorio. Rispetto agli altri musei – racconta la dottoressa Falezza – vi sono reperti più antichi, i quali raccontano le origini archeologiche nel nostro territorio. Si dipana cronologicamente come si evolve la cultura: la mission era la ricostruzione tramite intuizione delle varie epoche. Con la rivoluzione Neolitica l’uomo diventò più stanziale, iniziando a piegare il territorio alle sue esigenze, a domare l’ambiente naturale sfruttando le sue forze. Inoltre, si capisce via via l’evoluzione delle creazioni artistiche, tra dipinti e ornamenti, nuove tecniche e nuove mode”.

 

Ma perché ricostruire periodi così lontani da noi?
Come “i bambini chiedono ai loro genitori di raccontare dei nonni, allo stesso modo noi adulti abbiamo bisogno di andare alle nostre radici, ci manca conoscere da dove veniamo. Costruiamo così un’identità – spiega Falezza – le fondamenta sulle quali costruire la nostra società. Come archeologi, abbiamo il dovere morale di restituire alla collettività questi nuovi reperti, di far riflettere su come era il nostro territorio e quanto abbiamo perso e guadagnato da allora, di risolvere le insicurezze e le paure di chi teme il contatto tra culture diverse, dinamica fondamentale già nell’età del Bronzo per il nostro progresso”.
Un progresso che ci porta a raccontare il passato come degli sciamani, che nella Preistoria raccontavano un Aldilà, magari guardando nel fuoco o nell’aria; così oggi gli Archeologi provano a ricostruire un’idea, leggendo tra la terra e l’acqua, di un mondo reale vissuto.

Damiano Martin

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