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Gioielli di valore inestimabile custoditi dalla Banca d'Italia: i Savoia ne richiedono la restituzione

Gioielli di valore inestimabile custoditi dalla Banca d'Italia: i Savoia ne richiedono la restituzione

Dal 1946, in un  caveau della Banca d’Italia, è custodito un vero e proprio tesoro.
6.732 brillanti e 2.000 perle di grande valore che hanno fatto parte della storia del Paese e degli ex regnanti Savoia.
Un patrimonio del quale gli eredi della famiglia reale hanno ora richiesto ufficialmente la visione e soprattutto la restituzione in tempi rapidissimi.
E cioè esattamente “entro 10 giorni”, come si legge nella pec che il legale dei Savoia, Sergio Orlandi, ha inviato ora agli enti competenti dopo il fallimento di un tentativo di mediazione.
In caso contrario, è già pronto l’atto di citazione a giudizio.

“Beni mai confiscati, devono essere restituiti”

Ad agire, tramite l’avvocato romano, sono i successori del re Umberto II: Vittorio Emanuele, Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice.
La controparte che sarebbe chiamata a comparire in tribunale in caso di mancata restituzione, oltre alla Banca d’Italia, potrebbe essere composta anche dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell’Economia, anch’essi destinatari della pec.
Alla base della richiesta, come ha spiegato Orlandi all’agenzia Ansa, c’è un dato di fatto: “A differenza degli altri beni – ha dichiarato l’avvocato – questi non sono mai stati confiscati e sono rimasti pendenti. Perciò devono essere restituiti”.
I gioielli della Corona di uso quotidiano, in altri termini, non entrerebbero tra i beni “avocati allo Stato” sulla base della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

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La risposta della Banca d’Italia

La prima lettera di richiesta relativa alla restituzione dei gioielli della Corona è stata inviata dall’avvocato Orlandi lo scorso 30 novembre. E la Banca d’Italia ha risposto, come ha reso noto l’agenzia Agi, precisando di non poterne disporre “senza un coordinamento con le Istituzioni della Repubblica coinvolte”.
“La richiesta di restituzione avanzata – conclude, nel documento inviato all’avvocato, la Banca d’Italia – non può pertanto essere accolta, tenuto conto delle responsabilità del depositario”.

Dalla monarchia alla repubblica

Sia pure per poco più di un mese, dal 9 maggio al 18 giugno del 1946, Umberto II è stato l’ultimo Re d’Italia.
Con il referendum del 2 giugno di quell’anno, infatti, gli Italiani scelsero di passare dalla monarchia alla repubblica.
La già citata XIII disposizione finale della nuova Costituzione dispose quindi, nel 1947, l’esilio degli ex re e dei loro discendenti maschi.
I Savoia, quindi, non poterono più mettere piede sul territorio nazionale fino al 2003, dopo la cancellazione della disposizione.
Nell’anno precedente, il 2002, Vittorio Emanuele di Savoia e suo figlio Emanuele Filiberto avevano intanto giurato per iscritto “fedeltà alla Costituzione repubblicana e al nostro presidente della Repubblica”.

La storia dei Savoia

Quella dei Savoia è una tra le più antiche casate d’Europa.
Le prime testimonianze risalgono alla fine del X secolo, quando la famiglia viveva nel territorio del Regno di Borgogna.
Risale al secolo XI la Contea di Savoia, che divenne poi Ducato nel secolo XV. La capitale del Ducato si spostò da Chambery a Torino nel 1563 e risale agli inizi del XVIII secolo la dignità regia di Casa Savoia, esercitata prima sul Regno di Sicilia (dal 1713) e dal 1720 sul Regno di Sardegna.
Nel secolo XIX, Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II di Savoia furono tra i principali fautori dell’unificazione nazionale dell’Italia, fino alla proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861.
Dopo la scelta repubblicana, Umberto II lasciò il territorio nazionale il 13 giugno 1946, raggiungendo con i familiari l’esilio in Portogallo. Da quel momento, non sono mancate vicende e polemiche, come quella legata al trasferimento della salma di Vittorio Emanuele III in Italia, traslata nel 2017 al santuario di Vicoforte, nel cuneese, anziché al Pantheon di Roma, come avrebbe voluto parte della famiglia.

Alberto Minazzi

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