È uno dei termini che abbiamo imparato a conoscere bene durante questi due anni di pandemia. Perché il cosiddetto “droplet”, cioè le goccioline di saliva che emettiamo respirando, parlando o ancor più starnutendo o tossendo, sono sicuramente uno dei modi di trasmissione più utilizzati da un virus respiratorio come il Sars-CoV-2.
Pochi sanno, però, che il distanziamento fin qui indicato come necessario per evitare il rischio di contagio (i classici “6 piedi” negli Stati Uniti o il metro e mezzo/2 metri in Italia), si basa sugli studi sulla trasmissione dei patogeni per via aerea cominciati nel 1934 da William Firth Wells in occasione dell’epidemia di “spagnola” e poi perfezionati fino ai primi anni ‘40 del secolo scorso.
Una nuova tabella
Tant’è che, adesso, sulla base delle conoscenze più recenti, alcuni ricercatori hanno potuto aggiornare la “tabella” delle distanze per il contagio diretto. Che dipende da una serie di fattori, a partire da umidità e temperatura. Così come dal tipo di emissioni, visto che uno starnuto, in particolari condizioni, può trasmettere il virus fino a ben 7 metri di distanza.
A dedicarsi al tema è stato un gruppo di ricerca internazionale delle Università di Padova, Udine, Vienna e Chalmers, arrivando ai risultati ora pubblicati sul Journal of the Royal Society.
“Noi – spiega Francesco Picano, del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’ateneo patavino – abbiamo revisionato i parametri di Wells alla luce delle ricerche sugli spray effettuate negli ultimi 10-20 anni. Perché la miscela di aria e micro goccioline e muco che emettiamo è esattamente identica, nella sua struttura, a ciò che esce da un iniettore meccanico di spray”.
Il droplet ai tempi della mascherina
L’obiettivo dello studio, prosegue Picano, è stato dunque quello di “proporre un modello semplice da utilizzare, ma sufficientemente accurato, per chi è chiamato a scrivere le regole di comportamento”. Il focus dello studio è stato così dedicato al tema dell’influsso del variare della distanza sul raggiungimento di altre persone del droplet derivante dall’emissione di questo spray naturale e quindi alla possibilità che avvenga una trasmissione dell’infezione per contatto diretto. Ma non solo: ci si è concentrati anche su quanto incidano le condizioni ambientali e, infine, sulla protezione che deriva dall’indossare una mascherina.
La tabella delle “distanze di sicurezza”
Premesso che, come ribadisce il professore dell’Università di Padova, “concretamente poi dipende tutto dalle condizioni ambientali, visto che se ci sono un’alta umidità e una temperatura bassa le goccioline non evaporano per tempi più lunghi”, è stato dunque possibile stilare una sorta di tabella generale delle distanze minime da rispettare per evitare il contagio.
“Se vi è una sufficiente carica virale – illustra Picano – la distanza di un metro e mezzo è sufficiente per tutelarsi in caso di una semplice conversazione, riguardo alla quale va comunque tenuta in conto anche la durata. Perché ci vuole un centinaio di parole, in un minuto e mezzo o due di conversazione, perché vi sia un reale rischio di contagio.
L’ordine di grandezza della distanza alla quale un colpo di tosse può risultare contagioso è invece tra i 2 e i 3 metri. E si arriva a 7 metri per uno starnuto, anche se nel caso limite in cui l’emissione di droplet avviene direttamente in direzione di un’altra persona”.
Mascherine e droplet
Lo studio si è soffermato anche sulla capacità di protezione derivante dall’uso delle mascherine.
Ed è emersa l’indicazione rassicurante che soprattutto le Ffp2 sono in grado di garantire una buona tutela. “Anche le chirurgiche – specifica lo studioso dell’Università di Padova – danno una buona protezione, ma possiamo dire che i dispositivi più avanzati sono in grado di fornirne una di eccellente”.
In questa prospettiva, lo studio si è basato sui dati sperimentali legati alla dimensione dell goccioline emesse, visto che più grandi queste sono, più contengono virus e quindi, se arrivano a un altro soggetto, maggiore è il rischio che lo infettino.
“La capacità di filtraggio dei dpi che usiamo – aggiunge Picano – abbatte di migliaia di volte il rischio di un contagio diretto. Già a mezzo metro le Ffp2 riducono quasi completamente il rischio, ma, con un distanziamento di un metro, anche le chirurgiche danno un’eccellente protezione, indipendentemente dalle condizioni ambientali o da eventi come un colpo di tosse o uno starnuto”.
Gli ambienti chiusi
Il rischio di contagio diretto, ricorda Francesco Picano, è possibile anche all’aperto, se si sta l’uno di fronte all’altro. Il discorso, anche riguardo alla scelta del tipo di mascherina, è ancor più valido però ragionando su ambienti chiusi.
“Le Ffp2 danno una protezione incredibile su qualsiasi tipo di aerosol, mentre, come ci dicono i dati su altri studi sui dpi che abbiamo preso in considerazione, quella delle chirurgiche è leggermente inferiore sul ricevente” rassicura.
Nel modello realizzato sulla base dello studio, la riflessione si è incentrata comunque soprattutto sull’emittente droplet positivo al Covid. “Il rischio di contagio – conclude Picano – è possibile anche col semplice respiro, con un distanziamento consigliato simile a quello del parlare. Il respirare, comunque, può diventare vincolo di trasmissione in particolare negli ambienti chiusi e per tempi lunghi, potendo portare a saturare l’aria”.
Alberto Minazzi