Il 27 gennaio sarà presentato nelle sale italiane “Il senso di Hitler”, docufilm di Petra Epperlein e del plurivincitore degli Emmy Michael Tucker.
Il titolo esce in occasione della Giornata della Memoria, istituita per ricordare la liberazione del Lager di Auschwitz-Birkenau il 27 gennaio 1945 e quindi la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico e di tutti gli “indesiderati” della Germania nazista.
Basato sul libro “The meaning of Hitler” di Sebastian Haffner, pubblicato nel 1978 e diventato un successo internazionale, il documentario è un viaggio, geografico e sociologico, attraverso il cuore dell’Europa e insieme un’analisi dell’impatto che Adolf Hitler ha avuto nei primi anni della sua carriera politica e dell’influenza che, a 80 anni dalla sua morte, si scopre in alcuni casi viva ancora oggi.
Adolf Hitler: il mito creato dalla propaganda
Hitler era partito negli Anni Venti come un signor-nessuno: era anaffettivo, un artista fallito, un ferito della Grande Guerra affetto da problemi psichiatrici.
Parlando alla pancia dei tedeschi, era riuscito però presto a circondarsi di gente comune conquistando quella credibilità utile per vincere le elezioni nel 1933 e diventare successivamente l’ago della bilancia della politica mondiale. Il potere non l’ha conquistato con un colpo di stato come Mussolini, glielo hanno dato i tedeschi stessi con il voto.
E la propaganda ha contribuito a renderlo un mito, creato con il film “il trionfo della Volontà” di Leni Riefenstahl nel 1935.
Grazie a lei, il progetto nazista è stato esaltato e reso affascinante, facendo leva allora sulle emozioni dei tedeschi degli Anni Trenta e oggi su quelle di alcune persone del Duemila.
Ed è anche per questo motivo che, nonostante le numerose testimonianze di Liliana Segre, di Sami Modiano e di tanti altri scampati allo sterminio, nonostante la vasta bibliografia che vede il Diario di Anna Frank tra i libri simbolo della Shoah e sebbene i campi dello sterminio come Auschwitz, Dachau, Mauthausen e altri siano ancora lì, visitabili, nazismo e fascismo, anche se sconfitti nel 1945, non sembrano esser stati del tutto cancellati dalla storia.
“Il senso di Hitler”
C’è da chiedersi come sia possibile, nel 2022, leggere ancora odio o vedere filmati di vita reale a sfondo razziale, sentir evocare lo sterminio di milioni di innocenti negli stadi per sminuire l’avversario, veder salutare pubblicamente la bara avvolta dalla bandiera con la croce uncinata.
Perché tra alcuni giovani giri ancora la svastica, perché siano commessi reati, d’opinione e fisici, nei confronti delle minoranze, degli omosessuali, di donne e uomini di colore, degli ebrei.
Il fascino di nazismo e fascismo attraverso i cinegiornali d’epoca ritorna ad ammaliare le persone e naviga sui social grazie alla capacità di creare un alto numero di interazioni attraverso semplici post e video.
Ecco così che Hitler e Mussolini non sono mai morti. Il loro progetto si insinua nelle società moderne, anche quelle con un alto tasso di cultura, tra la gente comune che vive le stesse aspirazioni, ansie e paure dell’Europa degli Anni Trenta. Cambia il bersaglio dell’odio ma il pensiero è sempre quello.
Entrambi erano partiti promettendo di risolvere i problemi del loro paese; entrambi hanno dato “pane e lavoro” e ciò bastava. Che dietro a questo ci fossero anche le persecuzioni politiche e razziali contro altri componenti della società, poco importava. Accecate dal benessere, le masse si sono voltate dall’altra parte lasciando il campo alla persecuzione.
In Italia un coordinamento nazionale per la lotta all’antisemitismo
“Il senso di Hitler” non fornisce dati sui cyber-reati.
Ma in Italia il fenomeno viene approfondito da diversi rapporti, come quello del Coordinamento Nazionale per la lotta all’antisemitismo, creato nel 2020 dal Parlamento italiano.
L’obiettivo è scavare nel mondo di Internet e, più nel dettaglio, dei social.
E’ così che è emerso che, nel 2020, sono stati denunciati 308 siti Web contenenti articoli e post a schiaro sfondo antisemita.
Che su Facebook e su Twitter vengono costantemente pubblicati attacchi a sfondo cospirazionista, neonazista, antisemita e, forse ancor peggio, di banalizzazione o di negazione della Shoah. Che con la pandemia è nata anche una nuova pratica: quella del “zoombombing”: l’irruzione in conferenze online da parte di giovanissimi, spesso lupi solitari non per forza neonazisti, che pubblicano messaggi e audio d’odio antisemita e contro l’immigrazione.
Un’escalation preoccupante, figlia dell’idea che ognuno possa esprimersi online come crede rimanendo impunito.
L’indagine di Vox
Le istituzioni e le stesse piattaforme social corrono al riparo: con i suoi algoritmi, Facebook segnala e impone la sospensione e la cancellazione di post e pagine con un richiamo a fatti o persone del mondo nazifascista – spesso incorrendo in scivoloni nei confronti di chi usa immagini per divulgazione scientifica.
Anche Tik Tok segue questa linea ma Twitter è il canale più considerato.
L’Osservatorio italiano dei diritti (Vox) lo ritiene un valido termine di paragone per via dell’alto tasso di interazione sul singolo Tweet.
Nel suo rapporto, Vox sottolinea che, nel periodo della pandemia, la maggior parte dei messaggi negativi (Hate speech) sono indirizzati contro gli ebrei (in particolare nei confronti di Liliana Segre e delle celebrazioni del 25 aprile), poi contro i migranti e gli islamici.
Ma a sorpresa, al di là di pensieri antisemiti o razziali, i soggetti più interessati dall’odio sono le donne, principalmente lavoratrici.
Prima del Covid l’attenzione era rivolta soprattutto contro gli immigrati. Con il Covid sono diventate le donne, gli islamici e i disabili.
La banalizzazione del male
L’immigrazione e l’islamizzazione sono vissuti in Europa come un pericolo, sono temi che aumentano la percezione del pericolo della gente comune.
Come lo erano il comunismo e gli ebrei per l’Europa del 1930.
Oggi però il quadro è ancor più complicato da altri fattori come la banalizzazione del male – riprendendo un concetto caro ad Hannah Arendt – per motivi di convenienza personale e politica, per la scarsa cultura dell’Occidente in materia storica e di rendere scontati i valori, come la pace.
I più a rischio, da questo punto di vista, sono i giovani.
La società in cui viviamo non ha mai visto direttamente la guerra e con l’andare del tempo tutti i vari testimoni della Shoah e dell’ultimo conflitto mondiale vengono a mancare creando un vuoto che la scuola, da sola, non può arginare. La banalizzazione di quanto visto e la scarsa conoscenza storica peggiorano la comprensione dei fatti, incappando nella pubblicazione di contenuti pericolosi. Nel film diventa così esemplificativa la commozione della game stramer Brittany Venti, davanti alla parata delle seicento persone di estrema destra che, qualche anno fa, hanno sfilato con le torce in America, rievocando le vecchie parate di regime. Così come lo diventa il negazionismo dello storico inglese David Irwing.
La Giornata della Memoria
Eppure, in quel 27 gennaio di 77 anni fa, quando le truppe sovietiche liberarono Auschwitz, i crimini di Hitler e delle SS furono ben chiari ed evidenti.
I corpi delle vittime, i forni crematori, le torture e lo sterminio di oltre 15 milioni di persone non potevano più essere negate. Ed è a quella memoria che si ritorna il 27 gennaio di ogni anno nella giornata istituita dall’assemblea generale delle Nazioni Unite l’1 novembre 2005.
Per ricordare si accolgono le testimonianze degli ultimi superstiti, si depongono nelle città le pietre d’inciampo, si organizzano conferenze, dibattiti e prime visioni di film e documenti che servano a mantener salda la convinzione che, quanto accaduto in Europa nella metà del 1900, non si ripeta mai più. Che non ci siano più vittime della Shoah da commemorare. Che non ci siano più oppositori politici del regime, disabili, omosessuali, rom, sinti, testimoni di Geova o qualsiasi altra persona da piangere perché uccisi dall’odio e dal razzismo.
Ivan Bruno Zabeo
Un ottimo articolo che ribadisce i timori, a volte, il senso di impotenza che si insinua in tanti di noi, di fronte a manipolazioni del terrore , della violenza improvvisa e senza limite che colpirono tante persone ritenute, per volontà politica, sociale ed economica, non soggetti di diritti ma solo destinatari di interventi atti ad annientarle. E’ stato detto che la “memoria appiccicaticcia serve a poco “, che “è necessario farla propria”. Chi non è insensibile a ciò che è stato e ancora si insinua, deve aiutare a rendere presenti ed attuali nel tessuto sociale coloro i quali ,nella lotta per la Libertà, hanno vissuto personalmente o hanno ricevuto nella mente e nell’anima il dolore e il tormento riservato ai propri familiari o amici.