È l’elemento chimico più abbondante dell’universo conosciuto, quindi praticamente inesauribile. Ma non solo. L’idrogeno, il primo e il più leggero degli elementi della tavola periodica, si presenta anche come la potenziale fonte energetica più pulita, versatile, sicura e affidabile che abbiamo a disposizione. E disegna un futuro fatto di parchi eolici in riva al mare per trasformare l’acqua in idrogeno, navi alimentate ad ammoniaca, aerei spinti da kerosene sintetico.
È per questo che, come l’Europa e tutti i Paesi più importanti del Mondo, anche l’Italia punta decisamente in questa direzione.
Una nuova società, in grado di frenare il degrado dell’ecosistema planetario, per cui l’Agenzia internazionale dell’energia ha fissato un importante traguardo al 2050, quando la produzione di idrogeno dovrà passare dalle attuali 90 a 530 megatonnellate.
I primi appuntamenti in agenda
Ma il cambio di paradigma deve partire da subito, perché la strategia della Commissione europea, con il progetto “Strategia per l’idrogeno” del 2020, dotato di 470 miliardi di euro di finanziamento, ha fissato scadenze importanti già per fine 2024, quando gli Stati dovranno produrre almeno 1 milione di tonnellate di idrogeno “verde”.
La produzione di energia da fonti rinnovabili, fondamentale nel processo produttivo dell’idrogeno, dovrà inoltre essere incrementata di 500 gigawatt entro il 2030. E la progressiva decarbonizzazione, con una forte crescita dell’idrogeno “verde” nel mix energetico fino al 14% entro il 2050, include inoltre l’obiettivo di installare in Europa una nuova capacità di elettrolizzatori pari a 40 gigawatt.
L’idrogeno protagonista nel Pnrr
Se c’è chi, come Hydrogen Park a Venezia, ha iniziato a muoversi in tale direzione già dal 2003, un importante impulso alle diverse iniziative che iniziano ad affacciarsi in tutta la penisola arriva adesso dal Pnrr.
L’Italia ha infatti deciso, dedicandogli un intero capitolo, di destinare all’idrogeno ben 3,19 miliardi dei 59,33 complessivamente inseriti nel Recovery Plan per la transizione ecologica. Ad esempio, la previsione, proiettata al 2030 dalla “Strategia Nazionale Idrogeno”, è quella di installare in Italia 5 gigawatt di elettrolisi, permettendo di portare la percentuale di utilizzo di idrogeno nei consumi finali di energia al 2%, con l’obiettivo di raggiungere il 20% nel 2050.
L’Italia tra progetti-faro e hydrogen valley
La “rivoluzione verde” italiana legata all’idrogeno, all’interno della “Missione 2, Componente 2 – Misura 3” del Pnrr, punta in generale alla promozione della produzione, della distribuzione e degli usi finali dell’idrogeno.
L’Italia vuole quindi sviluppare progetti-faro per l’utilizzo di idrogeno nei settori industriali difficili da decarbonizzare, come quello siderurgico, destinando 2 miliardi di risorse per la riconversione delle imprese più dispendiose. Ma anche creare filiere dell’idrogeno, le cosiddette “hydrogen valleys”, che, combinando in un unico sito produzione, infrastrutture e utilizzo finale, permetterebbero anche la riqualificazione di siti industriali dismessi. In tal senso, 500 milioni di euro del Pnrr serviranno all’incremento della produzione di idrogeno, partendo da una capacità produttiva tra 1 e 5 megawatt per valley, e 450 milioni per lo sviluppo tecnologico delle filiere di transizione.
L’idrogeno anche per il trasporto pesante e nelle linee ferroviarie
Quindi l’installazione di almeno 40 stazioni di ricarica, l’utilizzo dell’idrogeno nel trasporto pesante (fissato un primo obiettivo del 5-7% di camion a idrogeno entro il 2030, puntando all’80% nel 2050) e sulle tratte ferroviarie non elettrificabili (entro il 2030 si punta a convertire 9 stazioni di rifornimento su 6 linee ferroviarie), con 530 milioni a disposizione per le necessarie sperimentazioni.
Il tutto continuando, con 160 milioni a disposizione, la ricerca e lo sviluppo e, in parallelo, promuovendo misure in grado di sostenere e diffondere la competitività dell’idrogeno, oltre a provvedere a una semplificazione amministrativa e alla riduzione degli ostacoli normativi che possono rallentare la diffusione dell’idrogeno.
Giugno 2022: uno step importante
Un piano articolato che dovrà rispettare le rigide tempistiche fissate dall’Europa. Entro giugno 2022, così, dovrà essere adottato il decreto ministeriale di approvazione dei progetti da finanziare, dovranno essere pubblicati gli avvisi pubblici per la raccolta delle manifestazioni di interesse a presentare i progetti per i settori “hard to abate” (cioè quelli in cui risulta più difficile abbattere le emissioni di gas serra), dovrà entrare in vigore la norma che contiene le misure fiscali per promuovere la competitività dell’idrogeno verde nei trasporti e dovranno essere individuate le aziende che realizzeranno l’impianto per la produzione di elettrolizzatori. La legge sulla promozione dell’idrogeno come fonte di energia rinnovabile dovrà invece arrivare entro il 31 marzo 2023.
Da Marghera, a Roma, alla Sicilia: la “rivoluzione idrogeno” italiana
La sfida delle Hydrogen Valleys e dei progetti legati alla transizione energetica dell’idrogeno coinvolge tutta la nostra penisola.
C’è chi, come Hydrogen Park a Porto Marghera, da quasi 20 anni ha iniziato un più ampio progetto di recupero industriale del Petrolchimico veneziano per renderlo l’hub dell’idrogeno per il Nord-Est (e non solo). O chi, esattamente l’Enea a Roma, sta realizzando al Centro ricerche di Casaccia un incubatore tecnologico per lo sviluppo della filiera dell’idrogeno: produzione, trasporto, accumulo e utilizzo.
E poi i progetti lombardi, a partire dalla riconversione della ferrovia della Valcamonica e dall’utilizzo di treni a idrogeno sulla Brescia-Edolo dal 2024.
Quelli pugliesi per la realizzazione di 3 impianti di produzione per complessivi 380 megawatt a Brindisi, Taranto e Cerignola. E ancora, solo per citare alcuni esempi, il progetto siciliano per la creazione di un Centro nazionale di alta tecnologia dell’idrogeno tra Siracusa, Milazzo e Gela; le caldaie venete; i camion, i treni e le navi; la sperimentazione del trasporto di idrogeno insieme al gas naturale nel Salernitano; i progetti per ottenere idrogeno dai rifiuti; la decarbonizzazione dell’acciaieria Tenaris di Dalmine. L’Italia, insomma, è una vera e propria fucina di idee per rendere concrete le grandi opportunità che si aprono con la “rivoluzione idrogeno” e, in particolare, con le prossime assegnazioni di risorse legate al Pnrr.
Venezia: la città che gioca d’anticipo
Chi è in campo da più tempo si sta in ogni caso muovendo ancor prima di poter usufruire dei contributi europei.
“A differenza delle altre realtà italiane – spiega Andrea Bos, presidente di Hydrogen Park – Venezia ha la fortuna di essere in anticipo e di essere quindi già posizionata rispetto alle strategie europee. Dal 2003, con 21 milioni di investimenti, abbiamo realizzato 12 progetti legati all’idrogeno e sviluppati su scala industriale. Abbiamo cioè provato a verificare le possibilità di utilizzo e produzione dell’idrogeno nell’area di Porto Marghera, sfruttando quella che era la vecchia area chimica. E già attualmente, qui, si consumano ogni mese circa 10 mila tonnellate di idrogeno nei processi produttivi”.
In fase di realizzazione il “polmone pulsante” dell’Hydrogen Valley
I due principali progetti concreti su cui Hydrogen Park sta lavorando si chiamano “PORTS8” (che mira a realizzare nell’area di Porto Marghera un centro di produzione di idrogeno e una stazione di rifornimento stradale) e “SUNSHINH3” (che intende sviluppare un innovativo sistema di distribuzione di ammoniaca verde che azzeri le emissioni di anidride carbonica). “Grazie agli accordi che abbiamo raggiunto – riprende Bos – realizzeremo un primo impianto di piccola produzione, stoccaggio e distribuzione di idrogeno da rinnovabili, primo “polmone pulsante” della Hydrogen Valley. Ed è già in una prima fase di costruzione la struttura che ci consentirà di aumentare la capacità di stoccaggio di ammoniaca”.
Tra primavera ed estate 2022 un “canale” per ricevere gas naturale e in futuro idrogeno verde
Ma non ci si ferma qui. “Abbiamo avuto la fortuna di agganciare un progetto esistente pianificato per ricevere gas naturale – annuncia il presidente – che ci permetterà di accelerare nei nostri piani tra transizione naturale delle vecchie infrastrutture industriali. Il progetto, che è già stato autorizzato e vedrà la posa della prima pietra tra la primavera e l’estate, è stato adattato per poter ricevere in futuro anche idrogeno verde. E questo, oltre a consentirci di riutilizzare il presistente impianto industriale, ci permetterà di trattenere e anzi incrementare l’occupazione. Perché è fondamentale, per attrarre investimenti, poter garantire una possibilità di approvvigionamento pressoché illimitato”.
L’Hydrogen Valley di Mantova
Intanto, gli orizzonti si allargano. La Provincia di Mantova, insieme a Sapio (che aderisce anche al memorandum d’intesa per la valorizzazione delle aree portuali veneziane nell’ottica della trasformazione in un cluster che unisca energia, industria ed economia circolare), ha manifestato l’intenzione di realizzare a sua volta una Hydrogen Valley. “Attraverso il Canal Bianco – commenta Bos – è possibile integrare il progetto con quello che abbiamo noi sulle aree portuali, garantendo in prospettiva alla Lombardia, e potenzialmente a tutta la spina industriale del Paese, un approvvigionamento crescente di idrogeno. Nei nostri piani, dopo l’iniziale importazione e stoccaggio di idrogeno, c’è infatti l’intenzione di aumentare progressivamente il mix con la produzione diretta, nella prospettiva, un giorno, di poter diventare anche esportatori dell’energia in eccesso rispetto alle richieste locali”.
C’è idrogeno e idrogeno
Il punto di forza dell’idrogeno, nella strategia energetica, è legato al fatto che si tratta tecnicamente di un vettore, cioè in grado di immagazzinare energia e poi rilasciarla quando necessario. Sul nostro pianeta, all’idrogeno si lega però anche un piccolo paradosso. Pur essendo l’elemento più diffuso, in natura non è infatti possibile trovarlo in forma gassosa isolata, ma va estratto dal gas naturale o dall’acqua, attraverso processi che si chiamano rispettivamente “steam reforming” o “elettrolisi”.
Dal punto di vista industriale, dunque, si distingue tra 3 tipi di idrogeno: “grigio” e “blu” da un lato, “verde” dall’altro.
Idrogeno grigio e blu
L’idrogeno grigio e blu rappresentano oltre il 90% dell’idrogeno attualmente prodotto e derivano dallo scarto di una reazione chimica o viene estratto da metano o altri idrocarburi.
Combinando il gas naturale con il vapore acqueo ad alte temperature, si ottengono idrogeno e anidride carbonica. Nel caso dell’idrogeno “grigio”, questa viene liberata nell’aria, con effetto inquinante pari a quello della combustione del gas naturale. Per quello “blu”, l’anidride carbonica viene invece catturata e immagazzinata, stoccandola sotto terra, con una percentuale vicina allo zero che si libera in atmosfera.
L’idrogeno verde
L’idrogeno“verde”, invece, si estrae dall’acqua, come quella di mari e oceani, attraverso un processo di elettrolisi, ovvero facendo passare una grande quantità di corrente elettrica al suo interno.
Per azzerare le emissioni e l’impatto ambientale, quindi, l’energia elettrica non deve essere prodotta attraverso fonti fossili, ma utilizzando quella derivante da fonti rinnovabili: solare, fotovoltaico o idroelettrico. Ed è per questo che la strategia complessiva dell’idrogeno, oltre all’aumento delle celle elettrolitiche disponibili, deve comprendere un incremento di produzione di elettricità da queste fonti “green”.
I costi dell’idrogeno
Al momento, poi, vi è anche una questione legata ai costi. L’idrogeno grigio costa attualmente attorno a 1,5 dollari al kg, quello blu tra i 2 e i 2,5 dollari e quello verde tra 3,5 e 5 dollari al kg.
Una differenza che, oltre che per l’aumento dei costi degli idrocarburi tradizionali, è destinata però a ridursi sempre più anche grazie agli investimenti infrastrutturali. L’ipotesi è che l’idrogeno verde possa arrivare a costare meno di 2 dollari già entro il 2030, potendo scendere sotto il dollaro per kg entro il 2050, quando i costi dovrebbero uniformarsi.
In parallelo, gli elettrolizzatori utilizzati per estrarre l’idrogeno dall’acqua (attualmente ne esistono di 4 tipi) dovrebbero essere sempre più capaci e meno costosi anche grazie all’aumento della produzione su larga scala. E, nel frattempo, dovrà essere realizzata anche un’adeguata rete di distribuzione. La soluzione meno costosa e più praticabile, rispetto alla realizzazione di una rete completamente nuova o al trasporto per nave, è quella di adattare i metanodotti esistenti. In tal senso, la stima dell’investimento necessario in Europa, di qui al 2040, varia tra i 27 e i 64 miliardi di euro.
Alberto Minazzi
Leggi anche:
L’idrogeno che arriva sullo spazio dai batteri rossi dalla laguna di Venezia
Ambiente: nasce a Modena l’Innovation Center italiano sull’idrogeno
Decarbonizzazione: oltre un miliardo di euro per progetti innovativi