Più infettiva, ma in grado di causare sintomi più lievi. Quelle che erano le prime indicazioni sulla variante Omicron trovano adesso conferma in due diversi studi: uno realizzato in Sudafrica e uno proveniente dalla Gran Bretagna.
Dai dati scientifici emerge infatti che il rischio di finire in ospedale per un contagio dal virus con le più recenti mutazioni isolate sarebbe inferiore tra il 40% e l’80% rispetto a chi ha contratto il Covid provocato dalla variante Delta.
Lo studio sudafricano
Il National Institute for Communicable Diseases sudafricano ha analizzato i dati sulle infezioni da Sars-CoV-2 raccolti tra il 1 ottobre e il 30 novembre, i cui risultati sono stati raccolti in uno studio sulla valutazione anticipata della gravità clinica della variante Omicron in Sudafrica, non ancora sottoposto a revisione paritaria. Lo studio mirava a valutare la gravità delle infezioni da Omicron rispetto alla variante Delta.
Le conclusioni esposte dai ricercatori sono che “le prime analisi suggeriscono un rischio ridotto di ospedalizzazione nello stesso periodo di tempo e un rischio ridotto di malattia grave rispetto ai precedenti individui con infezione da Delta”.
La percentuale è inferiore dell’80% per i ricoveri e del 70% per un Covid serio rispetto alle precedenti varianti. I dati, ha dichiarato Cheryl Cohen, una delle autrici dello studio, all’agenzia Reuters, “suggeriscono davvero una storia positiva di una ridotta gravità di Omicron rispetto ad altre varianti”.
Lo studio inglese
Alle stesse conclusioni, pur con percentuali differenti, arriva anche lo studio, il primo inglese su casi reali e anche in questo caso non ancora sottoposto a revisione paritaria, condotto da un team di ricercatori dell’Imperial College di Londra, guidato da Neil Ferguson.
Il rischio di finire ricoverati in ospedale per un’infezione da Omicron è inferiore tra il 40% e il 45% rispetto a quella causata da Delta. Il campione di studio sono stati tutti i casi di positività confermati con test molecolare in Inghilterra registrati tra l’1 e il 14 dicembre.
Tra gli ulteriori dati emersi dal lavoro, una riduzione tra il 15% e il 20% di dover ricorrere alle cure ospedaliere anche senza ricovero, la riduzione dai 0,32 giorni di permanenza media in ospedale di Delta agli 0,22 di Omicron e un rischio di ricovero inferiore dell’11% anche per i non vaccinati. La reinfezione è associata a una riduzione di circa il 50-60% del rischio di ospedalizzazione rispetto alle infezioni primarie. La vera questione è legata all’elevata trasmissibilità di Omicron.
“Rimane – sottolinea Ferguson – il potenziale rischio per i servizi sanitari di dover far fronte alla crescente domanda se i casi di Omicron continuano a crescere al ritmo osservato nelle ultime settimane”.
La storia di Omicron
Omicron è stata segnalata per la prima volta il 24 novembre dal Network for Genomics Surveillance sudafricano, sulla base dei campioni raccolti il 14 novembre. Dal 15 novembre, si è registrato un rapido aumento di casi di Covid, prima nella provincia di Gauteng e poi nell’intero Sudafrica, dove ha sostituito quasi completamente le altre varianti, passando dal 3% di inizio ottobre al 98% di inizio dicembre. Sono 22 le mutazioni di Omicron, non osservate fino ad oggi in nessun’altra variante.
Alberto Minazzi
“Omicron potrebbe sparigliare le carte”. I primi dati dell’Imperial College di Londra