Un anticorpo efficace contro il Sars-CoV-2 e le sue varianti, ma non solo.
Quello che hanno appena annunciato di aver identificato e testato alcuni ricercatori americani della Duke University e dell’Università del North Carolina-Chapel Hill potrebbe rappresentare il rimedio contro tutti i coronavirus, a partire dalla “vecchia” Sars di inizio anni Duemila. L’anticorpo si sarebbe dimostrato in grado sia di bloccare l’infezione provocata da diversi coronavirus che di minimizzarne i sintomi.
“Questo anticorpo – ha affermato il co-autore senior della ricerca Barton Haynes, direttore del Duke Human Vaccine Institute – ha il potenziale per essere terapeutico per l’attuale epidemia. Ma potrebbe anche essere disponibile per future epidemie, se o quando altri coronavirus salteranno dai loro ospiti animali naturali agli umani”.
La ricerca
I risultati della collaborazione di ricerca tra scienziati sono stati pubblicati il 2 novembre sulla rivista Science Translational Medicine.
L’anticorpo è stato isolato, insieme ad altri 49, tra gli oltre 1.700 che il sistema immunitario umano produce per bloccare l’agente patogeno dalla cellule infettanti, da un team del DHVI analizzando il sangue di un paziente infettato dal virus Sars-CoV-1, causa dell’epidemia di inizio secolo, e quello di un paziente affetto da Sars-CoV-2.
I ricercatori si sono concentrati su questi specifici anticorpi per il loro potenziale di elevata efficacia nei confronti dei virus mutati, prendendo i mira siti che rimangono invariati nonostante l’evoluzione del virus.
Tra i 50 anticorpi capaci di legarsi ai virus umani Sars-CoV-1 e al Sars-CoV-2, ne è stato quindi individuato uno, particolarmente potente, in grado di neutralizzare anche altri coronavirus animali.
I test sull’anticorpo
L’anticorpo in questione è stato quindi testato sui topi a Chapel Hill dal team guidato dal professore di epidemiologia Ralph S. Baric. Obiettivo di questa sperimentazione, determinare se l’anticorpo fosse effettivamente in grado di bloccare le infezioni o di ridurre al minimo le infezioni già in atto. E i risultati sono stati entrambi positivi.
Somministrato prima dell’infezione, l’anticorpo ha protetto i topi dallo sviluppo dei due virus umani, compresa la variante Delta del Sars-CoV-2, e da molti altri coronavirus animali, come quelli che colpiscono in pipistrelli, potenzialmente in grado di causare pandemie umane.
L’ipotesi di strategie vaccinali a prova di varianti
Nelle somministrazioni effettuate su topi infettati si è quindi riscontrata una significativa riduzione dei sintomi polmonari gravi rispetto a quanto verificatosi sugli animali non trattati con l’anticorpo.
“I risultati – commenta Baric – forniscono un modello per la progettazione razionale di strategie vaccinali universali che siano a prova di variante e forniscano un’ampia protezione dai coronavirus noti ed emergenti”.
“L’attività terapeutica dopo che i topi sono stati infettati – aggiunge Martinez – suggerisce che questo trattamento potrebbe essere utilizzato nell’attuale pandemia, ma anche accumulato per prevenire la diffusione di un futuro focolaio o epidemia con un virus correlato alla Sars”.
Il team e il finanziamento
Il risultato appena raggiunto rientra nel lavoro “pan-coronavirus” svolto presso il DHVI da un team multidisciplinare, che, come aveva annunciato un paio di settimane fa Barton Haynes, “sta già lavorando su più candidati” per lo sviluppo di un potenziale vaccino di prossima generazione per la protezione da molteplici tipi di coronavirus, compresi Mers e raffreddore, e varianti virali.
A tal fine, l’istituto di Duke ha ricevuto, tra le altre sovvenzioni, un finanziamento di 17,5 milioni di dollari in tre anni dall’Istituto Nazionale di Allergie e Malattie Infettive statunitense. In parallelo, DHVI è inoltre al lavoro per ricercare, sviluppare e testare vaccini contro l’Hiv e l’influenza.