In questo autunno, i prezzi al consumo potrebbero crescere anche oltre il 3%.
Ma la fiammata inflazionistica va valutata come effetto temporaneo, non sembrando presentare gli elementi per innescare una vera e propria spirale, anche se i rischi non vanno sottovalutati.
È questo, in estrema sintesi, il contenuto del report “Il rialzo dell’inflazione: un fattore transitorio, ma aumentano i rischi che possa divenire strutturale”, realizzato in collaborazione da Area Studi Legacoop e Prometeia.
Una situazione da monitorare
«Dopo anni di deflazione, non è una provvisoria inflazione al 3% a spaventarci» premette il presidente di Legacoop, Mauro Lusetti. «Anche le nostre analisi propendono per la transitorietà di questi fenomeni, ma ci sono incognite da non sottovalutare». Lo scenario vede infatti veri e propri picchi dei prezzi delle materie prime, che arrivano a moltiplicare i costi fino a quattro volte, anche nell’arco di pochi giorni. E i fornitori, sottolinea Legacoop, si trovano così costretti a raschiare i fondi di magazzino.
«La situazione – riprende il presidente – ci conferma quanto sia incerta e complessa la nuova normalità. Nella fase attuale, siamo molto preoccupati perché la crescita dell’inflazione appesantisce fortemente le imprese impegnate a spingere la ripresa. E produce ricadute sulla vita dei cittadini. La situazione richiede quindi una attenta regia istituzionale e di essere pronti a predisporre misure di calmiere almeno sui servizi essenziali».
Il quadro
I prezzi al consumo, sottolinea lo studio, a settembre 2021 sono più elevati rispetto a quelli di 2 anni prima, quando ancora non era cominciata l’emergenza sanitaria.
Lo scorso mese, dice l’ultimo rapporto Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, pur registrando una diminuzione dello 0,2% rispetto ad agosto, su base annua è salito dal 2% al 2,5%, a fronte di una stima preliminare del +2,6%.
La ripresa dell’inflazione, spiegano Legacoop e Prometeia, risente dei cosiddetti “effetti base”, cioè del confronto con le cadute dei prezzi legate al lockdown di inizio 2020. Il vero problema è che l’inflazione al consumo non è accompagnata da una parallela ripartenza di attività economica e consumi delle famiglie, che restano ben lontani dai livelli pre-pandemia. E la crescita dell’inflazione continuerà a influenzare la ripresa dei consumi familiari, in particolare dei nuclei a basso reddito.
Previsioni e prospettive
I rischi di questa situazione sono quelli di un aumento delle disuguaglianze, anche nella distribuzione del reddito.
In più, se le tensioni inflazionistiche si trasmetteranno a tutta la filiera dei prezzi, c’è il rischio che si radichino nelle aspettative, con timori di nuovi aumenti, e si inneschino in parallelo anche effetti sul livello dei salari, facendo diventare l’inflazione strutturale.
A spingere verso l’ipotesi di un fenomeno inflazionistico temporaneo è soprattutto il rientro dei prezzi sui mercati internazionali di plastiche, legname, acciai e metalli non ferrosi, le cosiddette “commodity”, che a metà 2021 hanno raggiunto livelli mai osservati in passato. La previsione dello studio è che la crescita media annua possa fermarsi attorno al 2%, scendendo nel 2023 e poi risalire gradualmente verso il 2% nel 2024.
Le cause della crescita dell’inflazione
La fiammata inflazionistica attuale è determinata in primis dall’impatto dell’aumento dei costi dell’energia.
Lo studio sottolinea come elettricità e gas siano aumentate dell’11% nel terzo trimestre 2021 rispetto al precedente e gli aumenti di ottobre dovrebbero portare il quarto trimestre a quasi +20% rispetto al terzo, con un incremento su base annua del 40%. E questo nonostante lo stanziamento di 4,5 miliardi del Governo per calmierare parzialmente i prezzi.
A incidere sono poi i prezzi alla produzione dei manufatti non alimentari, con un +7,8% in agosto che non si registrava dagli anni Novanta del secolo scorso. Vi è però un 18,2% di settori che aumentano oltre il 10%, con punte oltre il 50%. Costi più alti, per le imprese, derivanti a loro volta da una serie di fattori: dalla rapida crescita della Cina all’aumento di beni di consumo, come elettrodomestici, autoveicoli, elettronica e beni per la casa, ad elevato contenuto di commodity. Fino all’impatto della transizione “green”, che ha inciso soprattutto sui prezzi di rame e stagno.
Il rapporto Istat di settembre
A descrivere più approfonditamente l’inflazione di settembre è il periodico rapporto dell’Istat.
Partendo sempre dai beni energetici, i prezzi sono aumentati nell’ultimo mese del 20,2% (ad agosto del 19,8%), sia per la componente regolamentata (+34,3%) che per quella non regolamentata (+13,3%).
Gli alimentari hanno fatto invece registrare un aumento dell’inflazione dal +0,7% al +1%, i beni durevoli dal +0,5% al +1%, i servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona dal +1,5% al +1,8% e i trasporti (da -0,4% a +2%).
L’indice generale dei prezzi al consumo, a settembre, mostra invece un calo congiunturale, dovuto soprattutto a fattori stagionali. In questa prospettiva, diminuiscono i prezzi dei trasporti (-3,1%) e quelli dei servizi per la cura della persona (-0,5%), mentre aumentano (+0,8%) i prezzi degli alimentari non lavorati. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati è infine in diminuzione su base mensile (-0,2%) e in aumento (+2,6%) su base annua.
I possibili rischi
Tornando allo studio di Legacoop e Prometeia, guardando in prospettiva vanno tenuti sotto controllo soprattutto alcuni rischi. Non è escluso, ad esempio, che imprese e lavoratori abbiano bisogno di più tempo del previsto per adattarsi ai cosiddetti “shock di offerta”. Una considerazione, spiega il report, particolarmente valida per settori come commercio al dettaglio, ospitalità e turismo, con una ricaduta su immobili e trasporti.
Le esigenze della transizione climatica potrebbero farsi sentire poi in tutta l’industria manifatturiera, mentre, nel contempo, i cambiamenti climatici continueranno ad aumentare la volatilità dei prezzi relativi, le tensioni e le barriere internazionali e le interruzioni della produzione e del commercio. Un insieme di fattori che, pur con parziali aggiustamenti anche disinflazionistici, può giocare un ruolo anche sul mercato del lavoro nel suo complesso.
Alberto Minazzi