Dopo i vaccini a rna messaggero (Pfizer e Moderna) e quelli “classici” a vettore virale, nel contrasto al Covid arriva dall’India il via libera all’utilizzo del primo vaccino a dna “libero”.
Come sottolinea la rivista “Nature”, dopo l’ok dello scorso 20 agosto le inoculazioni, nel Paese asiatico, dovrebbero partire già in questi giorni.
Secondo i risultati preliminari della terza fase di sperimentazione consegnati all’Agenzia regolatoria indiana per i farmaci ma non ancora pubblicati, il siero garantirebbe un’efficacia primaria del 66,6% nei casi sintomatici e del 100% rispetto a un Covid moderato.
E anche se la percentuale di efficacia è inferiore a quella degli altri vaccini attualmente in uso, il vantaggio di ZyCoV-D è legato al fatto che i test sono stati effettuati in un contesto dominato dalla prevalenza della temuta “variante Delta” del Sars-CoV-2.
Il vaccino ZyCoV-D
La richiesta di autorizzazione all’uso in emergenza era stata presentata dalla casa farmaceutica indiana Zydus Cadila a luglio. Alla base, una sperimentazione effettuata su circa 28 mila volontari in oltre 50 centri in India.
Tra i volontari, anche un migliaio di minorenni, tra 12 e 18 anni, per i quali sarebbe stato dimostrata una tollerabilità in linea con quella degli adulti, consentendo così l’estensione dell’utilizzo anche alla fascia d’età più giovane.
Entro inizio 2022, dovrebbero essere prodotte circa 50 milioni di dosi, ma la capacità produttiva della casa farmaceutica supera i 100 milioni l’anno.
Si tratta del secondo vaccino sviluppato in India, tra quelli utilizzati nelle campagne vaccinali, dopo il Covaxin. Richiede la somministrazione di 3 dosi e presenta, tra i vantaggi, oltre all’economicità, anche la possibilità di conservazione tra i 2 e gli 8 gradi, mantenendosi stabile fino a 3 mesi a temperatura ambiente.
Come funziona il nuovo vaccino
Un’altra caratteristica peculiare di ZyCoV-D è la modalità di somministrazione, che non richiede l’utilizzo di aghi. Il farmaco viene infatti immesso nell’organismo non con un’iniezione intramuscolare, ma sotto la cute tramite un iniettore a pressione.
Il vaccino è costituito da plasmidi, cioè semplici filamenti circolari di dna, contenenti il gene codificante per la proteina spike del virus. A differenza di altri vaccini, come quelli di AstraZeneca o Johnson&Johnson, il dna non è racchiuso in un vettore virale, ma “libero”.
Raggiunto il nucleo della cellula, il dna viene convertito in rna messaggero, spostandosi nel citoplasma e attivando così la risposta immunitaria attraverso la produzione degli antigeni della proteina spike del Sars-CoV-2.
Il vaccino a dna
I vaccini a dna, di cui si parla ormai da una trentina d’anni, costituiscono una delle nuove frontiere dell’immunologia.
La loro sicurezza è stata in passato dimostrata da diversi studi clinici, ma è la prima volta che si ottengono risultati soddisfacenti e sufficientemente potenti dal loro impiego negli esseri umani, a differenza di quanto riscontrato sugli animali.
Attraverso l’inoculazione di informazioni genetiche sintetizzate in laboratorio, fanno produrre direttamente alle cellule del corpo umano le proteine che inducono la risposta immunitaria specifica. Il risultato ottenuto in India apre la strada a nuovi sviluppi di questa tecnologia.
Alberto Minazzi