Un doppio 5 caratterizza l’Esposizione Internazionale d’Arte meglio conosciuta come La Biennale di Venezia, uno dei massimi eventi al mondo assieme alla quinquennale Documenta di Kassel in Germania. Più di 100.000 mq di superficie complessiva sono dedicati alla produzione artistica che il nostro pianeta, attraverso metodi di selezione, propone ai visitatori di tutte le etnie. In laguna, fino al 24 novembre, 88 nazioni sono distribuite nelle sedi dei Giardini, Arsenale e Venezia con isole incluse. Attorno a questo universo, 47 Eventi Collaterali ufficialmente riconosciuti si stagliano in differenti luoghi della città.
La mostra internazionale è stata affidata, come curatela, al lombardo Massimiliano Gioni che ha creato un percorso espositivo, dal Padiglione Centrale (ex Italia) dei Giardini fino all’Arsenale, con più di 150 artisti provenienti da 38 nazioni dalle tecniche realizzative più disparate come video, fotografia, scultura, pittura e installazioni. “Il Palazzo Enciclopedico” è il titolo dato da Gioni a questa edizione della Biennale, ispirandosi all’omonima opera dell’artista autodidatta Marino Auriti che concepì, con brevetto nel 1955, come nuovo museo immaginario. Un luogo che avrebbe dovuto abbracciare tutto il sapere dell’umanità idealmente posto nella città di Washington DC, con 136 piani distribuiti su 700 metri d’altezza. Un progetto, che fu tradotto in un modello reale, visibile proprio all’inizio del percorso espositivo presso lo spazio dell’Arsenale. Un’idea che parte dal tentativo della tradizione storica di organizzare il sapere per immagini e spazi.
Partendo da questa base ideologica, per il curatore «la mostra non è un libro, ma uno spazio in cui risuona l’essenza della Biennale di Venezia dove essa stessa diventa un teatro della memoria, un’architettura in cui si collocano immagini che si spera verranno ricordate e che catturino un modo di pensare e un modo di essere». Un percorso inteso come una grande mostra-ricerca, un museo temporaneo dove sviluppare un’indagine. Un Palazzo Enciclopedico che proprio dai Giardini inizia il suo iter con il “Libro Rosso” di Carl Gustav Jung, per la prima volta in Italia e mai esposto assieme a lavori d’arte moderna e contemporanea, dal quale si conduce il visitatore a riflettere su tutto ciò che troverà nelle opere della mostra, suddivise tra sogno e immagini personali. In sintesi creazioni del passato unite a nuove produzioni di artisti contemporanei che, come afferma Gioni, sono all’interno di «una condizione che condividiamo tutti: quella di essere noi stessi media, conduttori d’immagini e persino posseduti dalle stesse immagini».
Lasciando al lettore la possibilità d’individuare e apprezzare i lavori dei tantissimi artisti presenti nei due nuclei centrali della Biennale direttamente in loco, interessante è il dibattito artistico già scaturito sul Padiglione Italia, con posizioni contrapposte tra il curatore Bartolomeo Pietromarchi e il curatore dell’edizione 2011 Vittorio Sgarbi. La mostra, curata dal direttore del Museo d’Arte Contemporanea di Roma, s’intitola “Vice Versa” e individua 7 ambienti che ospitano opere di due artisti ciascuno all’interno dei seguenti binomi: sistema/frammento con Gianfranco Baruchello e Elisabetta Benassi, suono/silenzio con Massimo Bartolini e Francesca Grilli, veduta/luogo con Luigi Ghirri e Luca Vitone, prospettiva/superficie con Giulio Paoloni e Marco Tirelli, corpo/storia con Fabio Mauri e Francesco Arena, concludendo in familiare/estraneo per Marcello Maloberti e Flavio Favelli. Come afferma Pietromarchi «il Padiglione Italia e il Palazzo Enciclopedico hanno vari punti di contatto nell’idea dell’archiviazione e nella volontà di mettere le mani sulla classificazione e sul concetto di enciclopedismo. Situazione destinata comunque a fallire, come nell’opera di Benassi che con un pavimento di 10.000 mattoni paragrafa l’archivio dell’errore in parallelo alla stessa quantità di detriti in orbita attorno alla terra». Dunque un’unione tra vecchio e nuovo con un’attitudine non storiografica e generazionale per concentrarsi sulla validità dell’opera. Si tratta come indica il curatore di «un arcipelago d’isole con un tetto comune su cui vivono dialoghi e confronti di artisti dagli approcci diversi».
Una metodologia espositiva diametralmente opposta alla curatela di Vittorio Sgarbi nell’edizione 2011, che ha indicato l’attuale Padiglione come «commemorativo, cerimoniale e funerario perché l’arte contemporanea sembra non esistere, in quanto gli artisti attuali non ci sono. Due anni fa si trattò di un progetto horror vacui con artisti vivi e tecnicamente clandestini, dai bravi e non, dimenticati o meno, vecchi e giovani. Fu un’idea viva dell’arte contemporanea rispetto all’attuale cimitero con bellissime lapidi, croci e morti che ritornano». La risposta di Pietromarchi non manca e indica in Vice Versa una «vitalità all’interno di un percorso multisensoriale, emotivo e coinvolgente dai temi non semplici ma con tecniche serie lungi da essere decorative e dilettanti». In aggiunta alla disamina di Sgarbi, si è determinata dalla critica un ulteriore analisi che individua una mancanza di sperimentazione tra gli invitati selezionati del Padiglione nazionale, alla quale il curatore taglia corto perché sono «ospitati artisti che hanno già raggiunto un certo livello della loro carriera con maturità, facendo si che tale mostra sia un punto fondamentale del loro percorso artistico». Ne deriva che l’eventuale ricerca debba rivolgersi a future edizioni.
Al di là dei diversi modi di analizzare l’evento, il sistema arte italiano si è unito positivamente in un’opera di crowdfunding che ha ricevuto 180.000 euro in donazioni per finanziare l’attuale progetto espositivo. Non rimane che effettuare una visita, dalla quale ognuno potrà trovare elementi di condivisione o di lontananza nel personale approccio all’Arte.
Il Padiglione Venezia 2013 “Silk Map” è il contenitore che porta lo storico Padiglione Venezia all’originaria vocazione di presentare le arti decorative, dedicate in particolare alla produzione artistica veneziana. Grazie a Fondaco Srl che ha unito dal punto di vista organizzativo cultura e impresa, il tema scelto in questa edizione è la tessitura. Gli artisti partecipanti Mimmo Rosselli, Marialuisa Tadei, Anahita Razmi, Marya Kazoun, Yiqing Yin hanno inventato libere creazioni in dialogo con le produzioni artigianali delle storiche Bevilacqua, Fortuny, Rubelli e Art Glass Production & Design della Scuola del Vetro di Abate Zanetti di Murano. Quest’ultima, con attività formative ad alto contenuto innovativo e l’eccellenza produttiva nell’arte del vetro oltre alla promozione del Premio Murano in ambito di creazione artistica vetraia, propone l’opera dal tipico nome veneziano “Caena”. Un lavoro che, in un intreccio di doppi ganci, contemporaneamente fa propria ed emana luce secondo una tradizione millenaria divisa tra cultura e abilità artistica.
Le premiazioni: durante il giorno dell’inaugurazione ufficiale, la giuria della 55° Biennale d’Arte composta dall’italiano Francesco Manacorda, dalla nigeriana Bisi Silva, dalla messicana Sofía Hernández Chong Cuy, dalla statunitense Ali Subotnick e dalla britannica Jessica Morgan, in una mattina segnata da grande gioia ed emozione, ha assegnato i prestigiosi “leoni d’oro” alla carriera alla torinese Marisa Merz (1926) per la riflessione artistica sullo spazio domestico e femminile, in coabitazione con la viennese Maria Lassnig (1919) per la complessa indagine sulla rappresentazione umana. Inoltre leone d’oro per la migliore partecipazione nazionale all’Angola e per il miglior artista “Enciclopedico” a Tino Sehgal (1976). Leone d’argento come promettente giovane a Camille Henrot (1978) e menzioni speciali a Sharon Hayes (1970), Roberto Cuoghi (1973) e ai Padiglioni di Cipro, Lituania e Giappone.
DI ALAIN CHIVILÒ
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9 Giugno 2013