Facciamo finta di niente, ma lo sappiamo tutti: in Italia sul lavoro non sempre uomini e donne sono uguali.
La carriera segue strade diverse e soprattutto diverse sono le retribuzioni.
E non di poco, visto che il nostro Paese è il fanalino di coda d’Europa piazzandosi al penultimo posto, prima solo di Cipro.
Secondo un recente studio, per arrivare a un’effettiva parità di genere da questo punto di vista occorrerebbero 200 anni tante sono le pratiche e i pregiudizi assodati nel tempo.
A tentare di pigiare sull’acceleratore per un sorpasso che restituisca il prima possibile dignità alle donne lavoratrici è ora un disegno di legge approvato all’unanimità il 23 giugno scorso dalla commissione Lavoro della Camera.
Ora dovrà essere votato a Montecitorio e a Palazzo Madama. E sembra che, questa volta, deputati e senatori siano propensi ad arrivare a una determinazione comune.
Il disegno di legge, infatti, rappresenterebbe una mediazione in grado di mettere assieme le proposte di almeno altri 10 disegni di legge in materia. Se tutto va bene, entrerà in vigore nel 2022.
Il gender pay gap italiano
Quanto guadagna una lavoratrice donna in Italia?
Poco a prescindere, qualsiasi lavoro faccia, perché, secondo i dati raccolti dal Rapporto sul Gender pay gap sul quale si è basata la Commissione Lavoro alla Camera, in media riceve a fine mese sempre il 20% in meno rispetto ai suoi colleghi maschi.
Sarà una questione di titoli? Affatto.
Per le lavoratrici donne laureate, infatti, la situazione risulta ben peggiore, perché il divario si allarga, soprattutto nel privato, arrivando anche a una media del 30,6% in meno.
Il premio per le aziende virtuose
Uno dei primi ambiti sui quali intervenire, secondo il disegno di legge approvato, è proprio quello aziendale, con la previsione di sgravi contributivi fino a 50 mila euro per le imprese più virtuose.
A concorrere alla loro identificazione saranno diverse pratiche e parametri introdotti dal disegno di legge.
Tra questi, la “Certificazione di parità di genere”.
Le imprese con almeno 50 dipendenti, ogni due anni, secondo quanto previsto dal ddl, dovrebbero redigere un rapporto sulla situazione in azienda suddivisa per sesso, incarichi, assunzioni, promozione professionale, livelli e passaggi di qualifica. Questi dati, uniti a quelli relativi alle politiche messe in atto in azienda per ridurre il divario di genere e tutelare la maternità, concorreranno a una valutazione finale per arrivare allo sgravio contributivo dell’1% fino a un massimo di 50 mila euro annui .
Trasparenza e sanzioni
Il disegno di legge prevede anche massima trasparenza dei dati.
Pur nel rispetto della privacy, adottando una modalità già attiva in Germania, Francia e Islanda, le informazioni fornite dalle aziende saranno trasmesse alle rappresentanze sindacali aziendali e alle consigliere regionali di parità, al ministero del Lavoro e al Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Nel caso in cui le aziende non dovessero mantenere quanto dichiarato sono previste sanzioni.
Il disegno di legge prevede infine la costituzione di un Comitato Nazionale di Parità che ogni due anni presenterà al Parlamento una relazione sullo stato delle cose.
Consuelo Terrin