Tutti la vogliono. E l’iter per arrivarci è iniziato. Ma non è semplice e non sarà neppure così veloce.
In ballo c’è la riforma fiscale del Paese. Non una manovra ma una rivoluzione.
Per capirci: il nostro attuale sistema fiscale ha circa mezzo secolo.
Fu realizzato tra il 1971 e il 1973. Introdusse l’Iva e tutta una serie di misure allora modernissime ma oggi inadatte a rappresentare una realtà profondamente cambiata rispetto ad allora.
Abbiamo più anziani che giovani, un esercito di partite iva, sempre meno lavoratori stabilizzati con contratti a tempo indeterminato e, oltre al sistema produttivo, il sistema si deve confrontare anche con i nuovi parametri europei.
Verso la riforma fiscale
Ecco quindi che, alla necessità di riformare il sistema, si è arrivati: il disegno di legge delega che dovrebbe essere presentato dal Governo entro fine luglio, è un obiettivo primario.
Tanto più in questo momento storico, in cui il Paese vuole rialzare la testa dopo la mazzata, in questo caso ancor prima economica che sanitaria, derivante dalla pandemia.
I nodi da sciogliere, tuttavia, sono molteplici. Il più complicato è quello legato a patrimoniale e tasse di successione, dove le posizioni politiche sono diametralmente opposte.
Ma è chiaro che, anche dove un punto di mediazione potrebbe essere raggiunto con meno difficoltà, ad esempio sulla riforma delle aliquote Irpef, l’uniformità è ancora ben lontana essendo coinvolto l’intero arco costituzionale.
I gruppi politici, del resto, hanno già ufficializzato le rispettive posizioni sulle principali questioni: dall’Irpef alle imprese, dalle tasse sui capitali agli strumenti per il contrasto all’evasione fiscale.
Meno tasse per il ceto medio
Il punto di partenza, che sembra mettere insieme tutti i partiti oltre che il Governo, è quello di ridurre il peso delle tasse per i cosiddetti “ceti medi”, cioè le famiglie con redditi tra i 28 mila e i 55 mila euro.
Sono però diverse le declinazioni, a seconda degli orientamenti politici, sulle modalità tecniche con cui rendere concretamente operativa questa riduzione del carico fiscale. Si va dalla “flat tax”, ovvero l’aliquota unica cavallo di battaglia del centrodestra, al modello tedesco, cioè una funzione matematica continua di prelievo legata al reddito, considerato tra le alternative dal centrosinistra, Leu in primis.
Le ipotesi in campo
Il Pd, ad esempio, punta su aliquote più ravvicinate negli scaglioni di reddito tra 15 mila e 55 mila euro. I Cinquestelle ipotizzano una tassazione al massimo al 33% per i redditi sotto i 55 mila euro, così come propone Italia Viva. Forza Italia, in attesa della flat tax, ipotizza una fase con 3 aliquote, portando al 23% quella tra 25 mila e 65 mila euro e Fratelli d’Italia indica un’estensione dell‘aliquota al 27% fino a 55 mila euro.
La Lega suggerisce invece un’attenuazione del differenziale tra seconda e terza aliquota.
Tutto il centro-destra è inoltre concorde su una “flat tax incrementale”, ovvero un prelievo del 15% sui redditi maggiori dichiarati l’anno precedente.
Le tasse per imprese e autonomi
Le posizioni tra i due schieramenti iniziano a discostarsi maggiormente riguardo alla tassazione dei redditi d’impresa. Pd e Cinquestelle hanno idee similari. Il primo partito vede un’Iri con aliquota unica al 24% e il passaggio all’autoliquidazione mensile per cassa per le partite Iva.
Il Movimento punta su un sistema di tassazione opzionale sostitutiva con aliquota al 24%, mantenendo la flat tax al 15% per le partite Iva, ma con ricavi fino a 55 mila e non 65 mila euro come adesso.
Italia Viva chiede la reintroduzione dell’Aiuto alla Crescita Economica per rafforzare la struttura patrimoniale di imprese e sistema produttivo, abolendo l’Irap.
L’incerto destino dell’Irap nella riforma fiscale
Proprio riguardo all’Irap vi è un punto di contatto tra M5S e Lega, che chiedono entrambe la sostituzione con un’addizionale Ires limitata ai profitti.
Tra le soluzioni suggerite dal partito di centro-destra vi è anche l’introduzione di una nuova flat tax al 20% per le partite Iva tra 65 e 100 mila euro. Forza Italia, il cui punto di partenza generale è l’introduzione di un principio costituzionale di tetto massimo alla pressione fiscale, concorda con Italia Viva sull’abolizione dell’Irap. Fratelli d’Italia, infine, ritiene che la tassazione delle imprese, nella riforma, debba essere inversamente proporzionale alle assunzioni.
Successioni, donazioni e patrimoniale
La massima inconciliabilità tra ideologie emerge quando dal reddito si passa a ragionare di patrimonio.
Forza Italia punta tout court sull’eliminazione delle tasse di successione e sulle donazioni.
Leu suggerisce invece un’imposta progressiva sui patrimoni mobiliari e immobiliari, che sostituirebbe però tutte le altre tasse sui patrimoni e i capitali, a partire dall’Imu.
Sulla cosiddetta “patrimoniale”, il Pd si dichiara contrario, anche se ben diversa è la posizione del partito di centro-sinistra riguardo alle tasse di successione, per cui si chiede di elevare l’aliquota dal 4% al 20% per le eredità superiori a 5 milioni di euro.
La distanza tra centro-destra e centro-sinistra è confermata dalle idee di Lega e Fratelli d’Italia, che dicono no a nuove tasse patrimoniali, puntando invece sull’eliminazione di alcuni tributi. Nello specifico, il partito di Salvini chiede di eliminare l’Imu per gli immobili commerciali sfitti, inagibili o occupati, oltre che nei comuni più piccoli. Quello di Giorgia Meloni è per la non tassazione dei canoni non percepiti per morosità.
L’iter della riforma fiscale
Le Commissioni Finanze di Camera e Senato stanno completando i lavori che proveranno a fare sintesi nelle conclusioni da cui poi partirà il Governo.
Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha confermato, al riguardo, che il disegno di legge sulla riforma fiscale terrà in considerazione i suggerimenti raccolti dal Parlamento nelle audizioni con esperti e istituzioni, sia italiane che internazionali.
Non sarà comunque facile, per i presidenti delle Commissioni, Luigi Marattin e Luciano D’Alfonso, trovare un punto d’incontro tra le varie e variegate componenti della maggioranza.
Senza dimenticare, una volta che la questione sia nelle mani del Governo, che andrà anche risolto il non marginale problema della copertura finanziaria della riforma.