È un film, un’opera di fiction, e come tale va presa. E parla di calcio, com’è ovvio raccontando la storia di uno dei campioni sicuramente più talentuosi della storia del pallone italiano: Roberto Baggio. “Anche” di calcio, ma non solo. Perché “Il Divin Codino”, la pellicola di Letizia Lamartire disponibile su Netflix dal prossimo 26 maggio, mira a essere qualcosa di più: un racconto di vita, di un uomo e della sua famiglia, da cui i giovani possono trarre insegnamento.
Il Baggio-persona
Il taglio particolare che è stato dato al film è uno dei “segreti” che hanno spinto una persona ritrosa e schiva come Baggio a esporsi pubblicamente. «Quando è nata l’idea del film – racconta Vittorio Petrone, manager dell’ex calciatore – Roberto mi ha risposto: “Se fosse per me, proverei timidezza e anche un po’ di vergogna a raccontare le mie cose intime”».
Petrone è però riuscito, insistendo, a convincere Baggio a vincere la sua riservatezza.
«Gli ho fatto capire che, nella pellicola, c’è relativamente poco calcio e tanta possibilità di raccontare chi è la persona-Baggio a quei giovani che non lo conoscono». E la stessa canzone della colonna sonora, “L’uomo dietro al campione”, di Diodato, si ricollega a questo.
Il rapporto con i genitori
Oltre ad accettare che si raccontasse la sua storia, nell’interpretazione di Andrea Arcangeli, Baggio ha così voluto presenziare anche alla conferenza stampa di presentazione ufficiale de “Il Divin Codino”. Occasione per un omaggio al padre Florindo, scomparso durante la realizzazione del film, traendo spunto dal loro rapporto personale per lanciare un messaggio ai ragazzi.
«Quando si è giovani – ha detto l’ex calciatore – non si capisce l’importanza del rispetto del ruolo dei genitori, che invece vanno ascoltati di più. Anch’io, all’inizio, vedevo mio padre come un nemico. Ma senza di lui non sarei riuscito a combinare niente: è stato la base per non mollare mai e ho quindi grande gratitudine verso di lui».
La lezione di vita
Il Baggio-uomo, poi, è cresciuto attraverso il calcio, attraverso un percorso doloroso, fatto di gravi infortuni, cadute e risalite, alcuni trionfi (2 scudetti, 1 Coppa Italia e una Coppa Uefa) ma anche alcune cocenti delusioni.
«Nella vita – ha detto Roberto Baggio – senza sacrificio, senza sofferenza, senza lotta, ma anche senza una rotta, è difficile trovare piena soddisfazione e si rischia di avere tanti rimpianti».
«Quando mi infortunai – continua Baggio – mi dissero che non avrei giocato più. Con coraggio, passione e determinazione sono invece riuscito a realizzare il mio sogno, arrivando fino in fondo. Ma è il percorso a contare più dell’obiettivo: se sai di aver fatto tutto quello che potevi, e di averlo fatto al meglio, hai già vinto».
Il rigore e i Mondiali 1994
Se le ferite delle tante operazioni subite, in particolare alle ginocchia, segnano il fisico di Baggio, vi sono però anche quelle, non meno dolorose, lasciate nell’anima.
Su tutte, l’ex giocatore non ne fa mistero, il rigore sbagliato nella finale dei Mondiali 1994 negli Stati Uniti che, in pratica, segnò il tramonto del sogno dell’Italia di alzare la Coppa nella finale col Brasile.
«Credo che il discorso del rigore – ha ammesso Baggio nella conferenza stampa di presentazione del film – non potrà mai essere archiviato. Mi piaccia o meno, me lo porterò dentro per sempre. D’altronde, era il sogno della mia vita calcistica e, per come è finita, è impossibile mettere da parte quanto accaduto. Io l’ho vissuta malissimo, perché rincorrevo quel momento da sempre e, arrivato lì dopo aver sognato per milioni di notti di vincere, la realtà è stata quella a cui non avevo mai pensato».
La storia del codino diventato una moda e un simbolo
Il Mondiale americano, però, ha lasciato anche un’altra eredità, diventata il vero e proprio simbolo di Baggio: il codino. E Roberto ha rivelato nell’occasione l’aneddoto che ha portato a questa scelta.
«Il codino è nato un po’ per gioco. In albergo c’era una cameriera di colore con delle treccine stupende. Un giorno, parlai con lei facendole i complimenti e lei mi chiese perché non me le facevo anch’io».A quel tempo, Baggio aveva capelli lunghi e ricci e bastarono due ore, alla cameriera, per acconciarglieli con le treccine. «I capelli – conclude Baggio – divennero così ancora più lunghi e l’unica maniera perché non mi sbattessero negli occhi era mettere un elastico. Col tempo, il codino mi piacque e mi accompagnò per qualche anno. Una cosa fatta di corsa, con un semplice elastico, ma che non avrei mai pensato sarebbe diventata un simbolo».
Alberto Minazzi