I puristi sgranano gli occhi con disprezzo già di fronte alla semplice pratica, assai comune nelle nostre famiglie, di allungare il vino nel proprio bicchiere aggiungendo dell’ acqua per renderlo meno alcolico. Figuriamoci se questa pratica divenisse ammessa addirittura nel processo produttivo. Un rischio che, denuncia Coldiretti, è ora reale.
Perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea ha pronto un documento con cui si autorizza la cosiddetta dealcolazione.
La dealcolazione
La dealcolazione è un processo con il quale, attraverso una filtrazione, si riduce il grado alcolico del vino.
La tecnica è già conosciuta e utilizzata per preservare freschezza e bevibilità.
Si tratta però di una pratica enologica che altera le caratteristiche organolettiche della bevanda, specie se, spiegano gli esperti, la diminuzione è superiore a un grado e mezzo. Il rischio è quindi quello di cancellare le caratteristiche specifiche di ogni vino, legate a vitigni e territori.
Coldiretti: “un inganno legalizzato”
Il vero problema di una tale autorizzazione sarebbe dunque quello di estenderla anche ai vini a denominazione d’origine, per i quali sono previsti ben precisi disciplinari di produzione.
Per questi vini, spiega Coldiretti, l’ipotesi contenuta nel documento sarebbe quella di concedere l’aggiunta di acqua.
“Un inganno legalizzato per i consumatori, che si ritroverebbero a pagare l’acqua come il vino”, afferma l’associazione di categoria in un comunicato.
Il perché della dealcolazione
Al momento, si tratta comunque solo di un’ipotesi. Consiglio, Commissione e Parlamento europeo si riuniranno nuovamente nel trilogo del 23, 25 e 26 maggio.
Sul tema, le posizioni restano infatti diverse. Se il Parlamento apriva alla dealcolazione per i soli vini da tavola, il Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura e la Commissione hanno infatti aperto alla possibilità di ammettere la pratica anche per i vini doc, sia pure fissando alcuni paletti.
Le motivazioni alla spinta verso la produzione di vini senza alcool, sostenuta in particolare dai Paesi del Nord Europa, sono principalmente legate alle possibili conseguenze sulla salute derivanti dal consumo di vino.
Ma vi è anche una ragione di tipo economico, portata avanti dai grandi produttori. Ci sono Paesi, come quelli arabi, in cui l’alcool è vietato, che potrebbero diventare mercati da conquistare con il nuovo prodotto. Che, però, sostengono gli esperti, non dovrebbe essere più chiamato “vino”.
Quando il vino non è più vino
Il processo di trasformazione dell’uva prima in mosto e poi in vino, che si fa per tradizione risalire addirittura a Noè, ha negli ultimi anni già registrato una serie di importanti interventi legislativi da parte dell’Unione Europea. Per aumentare la gradazione, ad esempio, nel Nord Europa è ammessa l’aggiunta di zucchero.
Pratica dello “zuccheraggio” invece da sempre vietata nei Paesi mediterranei.
Italia e Spagna hanno previsto dunque legislazioni nazionali più restrittive, consentendo l’utilizzo a tal fine solo di mosto concentrato.
Il nostro Paese è del resto in prima linea nella battaglia per affermare definitivamente la definizione di vino quale prodotto interamente ottenuto dall’uva. Un’affermazione che sembra scontata ma che, in realtà, non è tale.
Bruxelles ha infatti sdoganato da qualche anno pure la realizzazione di “vini” ottenuti dalla fermentazione di altri frutti, come ribes o lamponi.
La lotta europea contro il vino
Sull’onda di politiche sempre più indirizzate nell’ottica del salutismo, l’Europa sta in ogni caso cercando di scoraggiare il consumo delle bevande alcoliche. Nel Piano d’azione per migliorare la salute dei cittadini europei rientra ad esempio la proposta di introdurre la previsione di etichette che, come già avviene per i tabacchi, segnalino che il vino può “nuocere gravemente alla salute”.
La conseguenza di una simile impostazione può tradursi però in un nuovo duro colpo per un settore, quello vitivinicolo, che costituisce la principale voce dell’export agroalimentare, con un fatturato di oltre 11 miliardi in Italia e all’estero, ma sta già attraversando un momento di difficoltà.
Il consumo di vino made in Italy all’estero, ricorda Coldiretti, ha toccato il minimo storico da 30 anni, con un -20% nel 2021. Nonostante questo, l’Italia resta il principale produttore mondiale di vino, con 49,1 milioni di ettolitri, e il primo esportatore con 20,8 milioni di ettolitri, davanti alla Spagna con 20,2 e la Francia con 13,8.
Alberto Minazzi