“C’è una buona notizia: possiamo dire che tutti i vaccini hanno dimostrato di funzionare contro la variante inglese, che attualmente è quella assolutamente prevalente in Italia, attestata la scorsa settimana al 91,6% del totale”.
La rassicurazione arriva da Giorgio Palù, virologo e presidente di Aifa, l’agenzia italiana del farmaco.
“È vero che per le varianti sudafricana e brasiliana i sieri mostrano una capacità neutralizzante ridotta, da 3 a 6 volte. E se, in questi casi, la preoccupazione è doverosa, al tempo stesso, ritengo che non lo sia più di tanto”.
Dalla Cina all’Europa attraverso le varianti
“Il virus è cinese: è lì che è nato e si è sviluppato, c’è ancora poco da dire, al riguardo. Ha iniziato a circolare almeno da settembre 2019, per cui i Cinesi sono stati zitti per almeno 3 mesi, come fatto in passato per 6 mesi con la Sars” ha premesso Palù.
“L’esplosione della pandemia si è registrata in Europa. Ma da Wuhan a qui, il virus era già cambiato.
In ogni caso, dobbiamo capire bene anche con certezza la sorgente, visto che non abbiamo ancora trovato l’ospite intermedio tra gli animali e l’uomo né sappiamo spiegare perché il virus non infetta più i pipistrelli”.
Anche per questo, il presidente di Aifa invita a monitorare tutte le varianti: “Lo studio delle mutazioni si è concentrato su uno solo dei 26 geni, sia pure il più importante. Ma non è detto che anche altre mutazioni non possano essere altrettanto importanti. Un virologo dovrebbe studiare tutto il genoma per capire i possibili impatti delle varianti su contagiosità, virulenza, morbosità e letalità, basati sulla raccolta e lo studio di dati della popolazione”.
La diffusione delle varianti
Palù, intervenuto al punto stampa della Regione Veneto che si tiene quotidianamente dalla sede della Protezione civile di Marghera, ha quindi preso in considerazione le diverse varianti.
Specificando innanzitutto che lo studio dell’Iss sul sequenziamento di 1.700 campioni (160 dei quali provenienti dal Veneto), mostra che la variante brasiliana sta un po’ calando (è al 4,5%, con concentrazione maggiore in Lazio, provincia di Bolzano e Italia centrale), così come la sudafricana (0,1%).
Della nigeriana (0,4%) si registrano pochi casi, in particolare in Umbria e Abruzzo.
L’indiana è arrivata a 4 casi in Veneto e, ammette il presidente di Aifa, non è ancora ben conosciuta.
Palù: quando preoccupano le varianti
“Una variante – spiega – preoccupa se diventa più contagiosa. A oggi, però, non abbiamo ancora le prove scientifiche che alcune varianti siano più virulente o più letali.
Si arriva infatti a un aumento di contagiosità fino a 3 o 4 volte, non a 10.
La variante inglese è divenuta rapidamente prevalente perché ha un vantaggio selettivo: 23 mutazioni, di cui 8 sulla proteina spike. Se questo, però, significa che cresce meglio, al tempo stesso fa sì che sia meglio antagonizzata dagli anticorpi neutralizzanti”.
Le caratteristiche delle varianti e la durata della pandemia
La variante inglese, ha ricordato il virologo, ha inoltre un’incidenza maggiore nella fascia tra 0 e 9 anni, non vedendo quindi insorgere la malattia.
La sudafricana, invece, ha una mutazione in più, per quanto importante, perché legata all’aumento della contagiosità e all’evasione dalla riposta immunitaria. “La brasiliana – riprende Palù – è interessante perché è esplosa in soggetti vaccinati, anche se ci dobbiamo chiedere con quali sieri. E l’indiana è una somma di due varianti diverse già comparse in precedenza in India, che si sono poi fuse”.
Il presidente di Aifa, invece, non si sbilancia su previsioni legate alla durata della pandemia. “Non lo possiamo dire con sicurezza, perché ha uno sviluppo asincrono. Ad esempio, in alcune zone dell’Africa hanno cominciato solo ora ad aumentare gli infetti, attorno ai 50 anni d’età, per cui dobbiamo ancora attendere. Con tutta probabilità, si comporterà come un’influenza, visto che è un virus respiratorio sensibile ai raggi ultravioletti e si mitiga d’estate. Ma è pur sempre il primo coronavirus pandemico. Né si può paragonare la pandemia con le vecchie pestilenze, perché allora le comunità vivevano molto più distanziate”.
L’Rt del Veneto
Alla vigilia della nuova riunione della cabina di regia, l’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin, ha intanto rese note le stime dei parametri calcolati dal Dipartimento di Prevenzione regionale.
Il dato che preoccupa di più è l‘Rt, a 0,95, mentre l’incidenza è scesa a 97 e la percentuale di occupazione ospedaliera è al 15% sia in area non critica che in terapia intensiva.
“Il dato dell’Rt – ha commentato Palù – non è bellissimo, ma deve solo indurre a fare la massima attenzione. Perché, per quanto visto venerdì scorso in cabina di regia, il Veneto è a basso rischio. Un po’ di spostamento c’è stato, ma anche a livello nazionale, essendo passati dalla media dello 0,82 allo 0,85 già la scorsa settimana. Il Veneto ha però il dato confortante di un’incidenza sotto la media italiana, attestata a 150. E l’incidenza è importantissima, perché determina l’Rt, che non può essere l’unico parametro”. Palù ha quindi rivelato che il presidente Draghi ha accolto la sua proposta di chiedere di organizzare a Venezia un incontro sulle prospettive future dopo la pandemia.
Vaccinazioni: alcune precisazioni
Il Veneto ha intanto effettuato, nelle ultime 24 ore, 42.686 nuove somministrazioni di vaccino.
Riguardo alla nuova disposizione sui tempi della seconda dose dei vaccini a Rna, portata a 42 giorni, il presidente di Aifa ha spiegato: “Dopo 6 settimane c’è ancora un titolo elevato di anticorpi neutralizzanti”.
Sulle immunizzazioni, Palù ha inoltre ricordato che “ci sono soggetti, colpiti dalla Mers nel 2012, che sono ancora in grado di riconoscere il virus Sars-Cov-2”. E, sulle vaccinazioni, ha sottolineato che “in Italia, a differenza della Germania, abbiamo pochissimi casi di reazioni avverse ai vaccini da adenovirus che provochino trombosi. I giovani sono più a rischio ed è per questo che stiamo valutando attentamente l’estensione di questi vaccini alle fasce d’età più basse”.
Infine, sui nuovi sieri, il presidente di Aifa ha precisato che non si sa ancora quando e se arriverà il via libera per Curevax, che era stato annunciato per fine aprile. E che “non è detto che, in futuro, non si possa pensare a richiami con vaccini diversi”.
Case di cura: le linee guida
La Conferenza delle Regioni ha intanto confermato ieri le richieste al Governo in materia di riaperture e ha approvato, insieme ai rappresentanti di Governo e Iss, le linee guida per le strutture extraospedaliere, come le case di riposo.
Il testo è stato ora trasmesso al Ministero, perché, per renderlo operativo, occorre che sia recepito a livello nazionale, sia per avere uniformità, sia perché modifica un articolo del decreto di marzo.
In concreto, familiari e parenti potranno visitare i propri cari, al massimo in due contemporaneamente, se in possesso di green pass. Ci sono anche indicazioni per i nuovi accessi, che prevedono una quarantena di 10 giorni solo per chi non è vaccinato.
Alberto Minazzi