L’“uom fatale” di manzoniana memoria si è spento giusto 2 secoli fa.
Che quella di Napoleone Bonaparte, uno dei veri “giganti” (a dispetto dei 169 centimetri d’altezza, comunque superiori alla media dell’epoca) della storia, sia stata “vera gloria”, come si domandò il poeta, lo testimonia il fatto che si commemori anche nel terzo millennio una data del 1821.
Il “5 maggio” è infatti rimasto non solo il titolo dell’ode di Alessandro Manzoni, con uno degli incipit più incisivi della storia della poesia (alzi la mano chi non conosce il noto “Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro”). Ma resterà per sempre la data della fine terrena, nell’esilio di Sant’Elena, in pieno oceano Atlantico, di un condottiero tanto grandioso quanto, al tempo stesso, autore di condotte tutt’altro che meritorie.
Ne sanno qualcosa i Veneziani, che si videro letteralmente depredare la città dal dominio francese. Anche se, pur modesto risarcimento, lo stesso Napoleone ne riconobbe almeno in parte la grandiosità. Nello specifico, nell’arte navale.
Napoleone e la nave “Muiron”
A raccontare questo episodio è lo scrittore veneziano Alessandro Dissera Bragadin nella sua fatica letteraria (ci sono voluti 10 anni e lunghi studi per arrivare a completare il romanzo) “Venezia 1797 – Oltre la fine di un mondo”, in concorso al Premio Campiello. “Napoleone – premette – odiava profondamente la Marina e Venezia”. Ma fu proprio grazie a una nave veneziana, la “Muiron” che Bonaparte riuscì a mettersi in salvo dagli Inglesi fuggendo dall’Egitto.
L’episodio, riportato nel romanzo, è poco noto. La “Muiron” era una fregatina leggera dell’epoca, insieme alla “Carrere”, quest’ultima predata vicino a Genova proprio dagli Inglesi, che la unirono alla Royal Navy parlandone come di una “bellissima fregata di origine veneziana”.
La “Muiron” fu una delle poche navi rimaste ai Francesi in Egitto e Napoleone la utilizzò per partire da quel Paese, sfruttandone la velocità e la capacità di stringere il vento per forzare il blocco inglese nel Mediterraneo e riuscire così a seminare gli avversari.
L’omaggio alla nave veneziana
“Sebbene i Francesi, deridendo Venezia, sostenevano che la Serenissima non fosse più capace di fare navi – racconta Dissera Bragadin – fu lo stesso Napoleone a riconoscere il merito della nave veneziana in questa specifica occasione. Si fece innanzitutto fare un modello della nave, che tenne tra il suo studio e la sua camera da letto e oggi è conservato al Trocadero. Ma non solo: fece anche incidere una targa che attaccò a poppa, ricordando di non rischiare in combattimento la nave che aveva salvato l’imperatore del primo popolo del mondo”.
La “Muiron”, dunque, fu tenuta a Tolone come un monumento storico. Con la sua targa, in cui si ricordava anche come fu predata all’Arsenale di Venezia. Caduto in disgrazia Bonaparte, la nave divenne un carcere galleggiante, prima di venire colpita, a metà Ottocento, da un fulmine che causò un incendio e così la distrusse.
Napoleone e Venezia
L’episodio non toglie come la rovina della Serenissima sia legata proprio all’arrivo di Napoleone.
“Gli editti napoleonici – riprende lo scrittore – generarono, solo in città, la disoccupazione di 50 mila persone, un terzo degli abitanti, un giorno per l’altro. Non solo: i Francesi fecero sparire anche tutto quello che oggi si chiama “welfare”. E quello che era stato il più grande e ricco Stato europeo, con già un sistema democratico, divenne nell’Ottocento la città più povera del mondo”.
Venezia non fu comunque l’unica città devastata dai Francesi. Basta spostarsi di pochi chilometri per trovare Verona, oggetto di violenze e, in quello che non era depredabile, distruzioni. Ma, per la Serenissima, Bonaparte nutriva un vero e proprio odio “A Napoleone – sottolinea Dissera Bragadin – interessava la “damnatio memoriae” di Venezia, che fu sottoposta ad un vero e proprio sacco. Dello stesso tesoro di San Marco si salvò ben poco: qualche vetro, alcuni argenti e, paradossalmente, la Pala d’Oro della Basilica, talmente lussuosa da essere considerata falsa.
Il sottotitolo del mio libro, “Oltre la fine di un mondo”, sta a significare che fu proprio con Napoleone che si gettarono le basi per il vero periodo buio di Venezia: l’Ottocento”.
Alberto Minazzi
Nelle lettura viene trasmesso un grande amore e una profonda ammirazione verso la città e la cultura veneziana. Cultura anche verso il lettore nel comunicare informazioni e nozioni accurate non riportate in altri libri storici sulla città di Venezia