A volte sono muri di edifici, strade, cancelli, binari delle ferrovie e fiumi; altre invece sono fili di nylon attaccati sui pali della luce; altre ancora sono intere città, come Venezia. Confini invisibili ai più ma fortemente simbolici e che tracciano i limiti di uno spazio condiviso chiamato Eruv chatzeroi.
Lo spazio pubblico che simbolicamente diventa privato
In lingua ebraica Eruv Chatzeroi, oggi oramai abbreviato in Eruv, significa “mescolanza di domini” e per spiegarne la genesi dobbiamo tornare ai tempi di re Salomone, nel 1000 a.C. circa quando gli ebrei hanno avuto la necessità di istituire una “disposizione” per non infrangere una delle regole imposte dai testi sacri : il divieto di trasportare qualsiasi oggetto al di fuori delle abitazioni private durante lo Shabbat, il sabato ebraico.
Dal cibo alle bevande, dai medicinali agli ombrelli fino ai bastoni usati per la deambulazione, niente poteva, né può tuttora, essere trasportato al fuori dalla propria casa e viceversa. I Maestri del Talmud hanno quindi pensato a una regola alternativa, l’Eruv appunto, una sorta di “zona franca” che amplia simbolicamente i confini dell’abitazione privata (il dominio) e consente azioni altrimenti vietate. Un esempio semplice? immaginate una piazza il cui confine è delimitato dalle mura di case e palazzi. Se quella piazza diventasse un eruv, ogni sabato gli ebrei sarebbero liberi di muoversi liberamente trasportando oggetti perché a tutti gli effetti si troverebbero dentro la “loro casa”.
Venezia, esempio mondiale di “eruv cittadino”
Ma torniamo a Venezia. La storia di una delle più importanti comunità ebraiche europee inizia proprio qui sul finire del 1300 e il suo legame con il potere politico della Serenissima fu talmente forte che nel 1516 venne istituito il primo quartiere ebraico al mondo.
Il Ghetto nacque nel sestiere di Cannaregio ma nulla aveva a che vedere con questioni di discriminazione e segregazione, anzi. Oltre alla libertà di culto, gli ebrei continuarono nelle loro attività finanziarie e commerciali contribuendo anche alla vita culturale e artistica della città.
A distanza di cinque secoli esatti, nel 2016, Venezia è stata anche la prima e unica città italiana a istituire un Eruv grazie a una convenzione quinquennale che è stata rinnovata pochi giorni fa. Firmato dal sindaco Luigi Brugnaro, dal rabbino capo della Comunità Ebraica di Venezia, Rav Daniel Touitou e dal presidente Dario Calimani, l’Eruv veneziano durerà fino al 2026.
Con questa intesa il centro storico lagunare, esclusa Sant’Elena e la Giudecca, durante il sabato ebraico diventa idealmente un’unica grande casa per i circa 450 ebrei residenti ma anche per tutti gli ebrei che ogni anno giungono in città per turismo.
Quanti e dove sono gli eruv
Gli Eruv si trovano soprattutto in città dove ci sono consistenti comunità ebraiche.
Da Melbourne in Australia a Manhattan negli Stati Uniti, passando per Città del Capo in Sud Africa, Rio de Janeiro in Brasile e poi Londra, Strasburgo, Vienna, Gibilterra, Amsterdam in Europa: nel mondo ci sono cira 140 eruv, escluso Israele che ne ha molti di più.
Tra gli Eruv più grandi quello di Manhattan e di Melbourne.
Lo Shabbat, il giorno in cui Dio si riposò
La parola Shabbat identifica il sabato ebraico che inizia con il tramonto del venerdì sera e termina la sera del sabato. Per gli ebrei è il giorno da dedicare al riposo, alla spiritualità e alla preghiera di Dio che, come dicono le Sacre Scritture, in sei giorni creò il mondo e il settimo si riposò (nella religione cattolica il settimo giorno è la domenica). Di Shabbat gli ebrei devono osservare 39 divieti (“melakhot”) tra cui lavorare, impastare e cuocere, cucire, scrivere, accendere un fuoco, viaggiare, circolare sui mezzi pubblici o privati, fare acquisti, innaffiare piante e fiori, utilizzare computer e telefoni. Il 39.imo divieto riguarda il trasporto di oggetti dalla propria abitazione a uno spazio pubblico, e viceversa.
Come nasce un Eruv?
Nel Talmud, il testo sacro che rappresenta il pilastro centrale della vita ebraica, viene descritto in dettaglio come deve essere un Eruv. Ad esempio: prima di perimetrarlo, è fondamentale che la comunità ebraica locale abbia affittato formalmente la porzione di territorio interessata. Di solito per circondare l’area si usa un filo sottilissimo che poggia sui pali dell’illuminazione, un “confine” di solito invisibile agli occhi dei più ma che soddisfa la linea guida talmudica secondo cui l’Eruv deve essere quasi impercettibile per integrarsi all’ambiente circostante. Dove non esistono pali dell’illuminazione, l’area viene delimitata utilizzando strutture preesistenti come recinzioni metalliche, edifici, muri, ma anche canali e ponti come nel caso di Venezia.
Le curiosità
Quando un Eruv è demarcato da un sottile filo di nylon, come quello di Manhattan che è lungo oltre 33 chilometri, è obbligatorio assicurarsi che sia sempre integro. Nel caso del quartiere americano ci sono dei rabbini che una volta la settimana fanno un’ispezione per assicurarsi che quel filo non sia rotto o danneggiato e c’è un profilo Twitter che informa se tutto è in regola, mentre su Google Maps si possono visualizzare i confini. Altre comunità invece forniscono le informazioni via telefono o sui loro siti web.
Luisa Quinto
Incredibili, questi Ebrei!! Che siano davvero “il sale della Terra”?