Uova, un paio o uno per ogni commensale. Solo il tuorlo, ma magari anche l’albume a far volume.
Non trovo il guanciale, metto la pancetta. Pecorino sì, ma non troppo: meglio tagliare con un po’ di parmigiano, altrimenti è troppo salata.
La panna?! Ma sei fuori di testa? Quella la mettono i francesi.
Poche cose ci rendono orgogliosi di essere italiani come la cucina.
Ne consegue che altrettante poche cose ci fanno litigare furiosamente da un campanile all’altro come una ricetta della tradizione “male interpretata”.
Alla Carbonara spetta senza ombra di dubbio il trono delle litigate e dei pareri discordanti, unita a una serie di storie affascinanti che l’hanno portata ad avere un giorno totalmente dedicato: il 6 aprile infatti è il Carbonara Day.
La leggenda della Carbonara
La sua origine, coerentemente con i dibattiti che la riguardano, non è unica: da una parte la storia, probabile, dall’altra la leggenda, romantica.
Se siete dei sognatori vi piacerà sapere che la sua creazione intreccia il nome, carbonara appunto, con cui si indicavano i lavori di un certo peso, con i pastori in transumanza sugli Appennini, o i carbonai che producevano carbone sulle montagne, i quali potevano trasportare solo ingredienti a lunga conservazione, come uova, pecorino, pasta e guanciale.
Va da sè che la povertà in questi casi accenda la fantasia: et voilà, ecco la Carbonara.
Pellegrino Artusi, fondatore della critica gastronomica italiana
La leggenda però non trova riscontro in quella che potremmo considerare la bibbia delle guide gastronomiche italiane, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, altresì chiamata l’Artusi, nome dato da colui che la scrisse, Pellegrino Artusi, fondatore della critica gastronomica italiana.
Artusi visse tra il 1820 e il 1911 e nella sua guida non vi è traccia della carbonara.
È molto probabile quindi che la ricetta non esistesse fino al Novecento, quando effettivamente successe qualcosa, ma che non ha totalmente a che fare con la sola cultura italiana.
La storia “più” vera
La Carbonara non fu un’invenzione completamente italiana.
Negli ultimi anni, almeno da quando l’Unione Italiana Food ha istituito il Carbonara day e lanciato l’hashtag #MyCarbonara, si è fatta strada la storia che potrebbe avere più attinenza con la realtà. Agli sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale, con le truppe alleate impegnate a risalire la Penisola per liberarla dall’occupazione nazista, i soldati avevano a disposizione la cosiddetta “Razione K”, ovvero un box con tutti i viveri necessari per la sopravvivenza in tempo di guerra.
Gli ingredienti della Razione K e un cuoco italiano
La storia della nascita della Carbonara è stata giusto raccontata con un video promo su Youtube dalla Barilla, molto romanzato ma che potremmo ritenere vicino alla realtà.
Tra gli ingredienti della Razione K vi erano uova disidratate e bacon: due alimenti essenziali per gli americani, buoni per ogni pasto della giornata.
Qui entra in scena il creatore del piatto, il cui nome è stato scoperto da Igles Corelli, noto chef italiano. A inventare la carbonara fu Renato Gualandi, cuoco bolognese che si ritrovò a cucinare per le truppe alleate. E cosa poté mai fare un cuoco italiano con uovo e bacon a disposizione? Aggiungere la pasta!
Le conferme dell’origine italo-americana
A rafforzare la vera storia della carbonara è il fatto, analogo alla guida dell’Artusi, che fino al 1951 non vi sia traccia di una ricetta quantomeno ufficiosa, se non in America, e più precisamente a Chicago.
La prima attestazione di una ricetta della Carbonara comparve infatti quell’anno sulla guida dei ristoranti della Windy city, An extraordinary guide to what’s cooking on Chicago’s Near North Side, riportata dall’autrice Patricia Bronté. Questo è solo un punto di partenza, in un susseguirsi di ricette, storie e citazioni (come quella di Alberto Moravia nei Racconti Romani del 1954) che probabilmente hanno percorso strade parallele.
Sta di fatto che l’Italia si è appropriata della ricetta, probabilmente grazie alla maggior dimestichezza con la pasta, e ci riteniamo difensori di una tradizione che ammette tuttavia qualche variante, apprezzabile o meno. Quello che dovremmo sottolineare in queste storie è come l’Italia, ancora una volta, si ritrova incrocio di diverse culture, una commistione che arriva a produrre una ricetta riconosciuta in tutto il mondo. Una piccola opera d’arte, a suo modo, replicata in ogni angolo del globo dove sia arrivata la nostra cucina.
Damiano Martin