Elisa Furlan, originaria di Oriago di Mira da oltre vent’anni vive in New Mexico.
Diventata cittadina americana nel 2006, a seguito del matrimonio con Darryl Young, un ex paracadutista della 82nd Airborne Unit dell’esercito americano di stanza nella base di Vicenza, vive ad Albuquerque, città fondata nel 1701. Si è trasferita negli States per amore, ma il suo non doveva essere un trasferimento definitivo.
«Il nostro progetto dopo il matrimonio era di ritornare in Italia dopo qualche anno – spiega Elisa – L’idea era di rimanere 4 o 5 anni, acquisendo una certa esperienza per tornare a vivere in Italia. Ma iniziato il percorso lavorativo ho capito che le opportunità presenti qui difficilmente le avrei avute in Italia. Alla fine siamo rimasti e ho deciso di ampliare le mie competenze nell’amministrazione aziendale.
Terminati gli studi al Central New Mexico College ho inviato tre curriculum mirati, fatto due colloqui e in poco più di un mese avevo già un nuovo lavoro. Ora lavoro nell’ufficio amministrativo della Credit Union Association of New Mexico, un’associazione di istituti finanziari non-profit. Essendomi poi laureata in Italia all’Università di Trieste alla Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, avevo lavorato come traduttrice per una compagnia pubblicitaria e come interprete al Tribunale della Contea».
L’Italia resta nel cuore
Il legame con l’Italia è però indissolubile, tanto che è stata Agente per il Consolato Generale D’Italia di Los Angeles per lo stato del New Mexico. «Magari quando andrò in pensione potrei pensare di vivere sei mesi in Italia e sei in USA. Anche perché mi piacerebbe molto poter andare al mare più spesso – dice – E’ una delle cose che più mi manca assieme al cibo e alla convivialità tipica degli italiani. Che riscopro ogni fine settimana grazie alla comunità italiana – soprattutto veneta – di Albuquerque».
Gli spazi immensi dell’America
Elisa vive in una zona degli USA che può ricordare molto lo scenario da film Western di Sergio Leone. «Vivo ad Albuquerque, la città più importante del New Mexico con i suoi 600 mila abitanti, che nella media americana è considerata solo una medio-piccola città. Qui il sole splende 350 giorni all’anno, gli inverni sono molto freddi di notte ma miti di giorno, l’umidità è bassissima, le estati sono calde di giorno ma asciutte e fresche di sera – racconta – Non ci sono zanzare! Albuquerque è una città circondata da spazi immensi, dove l’orizzonte sembra non avere fine, diversa dalle altre metropoli perché non ci sono grattacieli e gli edifici abitativi non superano i due piani.
Albuquerque è molto estesa, fondata a 1.600 metri di altezza, si estende nel cosiddetto “High Desert”, un altopiano desertico che fa parte della catena delle Rocky Mountains. Abitando nella zona collinare periferica della città ho la fortuna di godere di una splendida veduta delle montagne e della città stessa sotto di noi, attraversata dalla Route 66 e dal fiume Rio Grande, il tutto illuminato di luci la notte. D’estate è bellissimo godere dei meravigliosi cieli stellati e dei tramonti incredibili che trasformano le montagne in uno spettacolo mozzafiato di colori e di fasci di luce. Appena si esce dalla città si è sopraffatti dall’immensità degli spazi, prima di raggiungere un’altra città si attraversano chilometri di spazi occupati solo dalle mesas – elevazioni isolate, scoscese dalle cime piatte che si ergono in mezzo a pianure – e piccoli canyon».
Il problema della sicurezza
Un sogno che però si scontra con la realtà della way of life locale: «E’ proprio vero il detto: “gli italiani lavorano per vivere, gli americani vivono per lavorare”. Socializzare qui è più difficile, gli americani sono sempre al lavoro, cenano alle 5 di sera, guardano la TV e alle 9 sono già a letto, anche d’estate – rivela – L’incontro con gli amici in piazza o le uscite nelle sere d’estate con la famiglia a fare una passeggiata, a prendere il gelato in centro dopo cena non esistono. C’è purtroppo un problema di sicurezza: dopo circa un mese dal mio arrivo chiesi a Darryl di fare una passeggiata ma lo aveva fortemente sconsigliato. Non aveva torto: il centro è la zona più pericolosa della città e terminate le attività lavorative anche molti locali chiudono. Restano aperti solo i bar che però accolgono solo chi vuole bere e ubriacarsi. Circolano troppe armi, retaggio del passato del Far West e dell’autodifesa. Si vive spesso disagio sociale: oltre alla violenza manca l’appoggio della famiglia: se in Italia funge da “rete di salvataggio” nei momenti difficili, qui spesso non c’è o è troppo lontana».
Professionalità e pragmatismo
Insomma, quello di Elisa è un mondo fatto di contraddizioni, di bellezze naturali mozzafiato ma un po’ chiuso.
Però molte cose vanno bene.
«Gli americani sono pratici e veloci nel realizzare le cose, applicando massima professionalità. Lo vedo nella campagna vaccinale e ricordo con un fatto al mio arrivo nel 2000: appresi che stava per iniziare un grande progetto di viabilità autostradale. L’appalto era stato vinto da una società che aveva promesso di consegnare il lavoro finito entro 24 mesi. Io pensai “Oh no! per i prossimi 5 anni ci saranno code di traffico interminabili!” invece con mia assoluta incredulità dopo soli 23 mesi fu inaugurata una efficientissima e stilisticamente accattivante nuova intersezione autostradale. Ma non è tutto: sul piano lavorativo qui conta la meritocrazia e prevale l’eccellenza.
Politically correct
Esistono dure leggi contro le discriminazioni che impediscono ai datori di lavoro di richiedere informazioni strettamente personali. Devono limitarsi solamente agli studi e ai diplomi conseguiti. L’ho capito quando ho tradotto il mio CV dall’italiano all’inglese inserendo anche la mia data di nascita e il mio stato di coniugata: non mi hanno guardata benissimo…La legge sulla discriminazione è importante ma spesso esagerata: il rapporto tra colleghi è fatto di grande professionalità e di rispetto ma bisogna prestare la massima attenzione nell’uso delle parole: qualcosa di apparentemente innocuo o “divertente” potrebbe offendere o ferire la persona di un’altra etnia, colore, religione, genere. La legge in materia è molto severa e si potrebbe anche finire in guai molto seri. Su questo e su altri aspetti di vita noi italiani ci sappiamo godere la vita molto di più!»
Ivan B. Zabeo
Ciao a tutti. Mi e’ piaciuto questo articolo dove si mostra come noi Italiani, cittadini del mondo, ci rimbocchiamo le maniche per lavorare. La mia storia e’ molto simile a quella di Elisa e condivido molte delle cose dette.. Ora vivo in Virginia ma Giugno 16 traslochero’ ad ABQ. Mi piacerebbe mettermi in contatto con Elisa se fosse possibile in qualche modo. Grazie.