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Il mio giro del mondo. Diario di una viaggiatrice seriale: la Polinesia

Il mio giro del mondo. Diario di una viaggiatrice seriale: la Polinesia
Polinesia verso Bora Bora, Isole della Società

L’accoglienza all’aeroporto di Papeete, a Tahiti, è quanto di più allegro e colorato un turista possa aspettarsi.
Mentre un’orchestrina di chitarre e ukulele suona dolci melodie polinesiane, hostess e agenti turistici si prodigano a infilare al collo di ciascun viaggiatore una profumatissima collana di fiori. A coloro che invece lasciano la Polinesia è usanza donare una collana di conchiglie.
Dopo un primo impatto così piacevole io e Gianmarco siamo comunque costretti a fare i conti con gli handicap del cosiddetto “ultimo paradiso“.
Papeete, capitale della Polinesia e principale città di Tahiti (le altre sono poco più che dei villaggi), ci appare piuttosto scialba nonostante la lussureggiante vegetazione della sua periferia e il bel lungomare, dove la sera stazionano le “roulotte“, caratteristici ristorantini ambulanti. A rendere, poi, ben poco paradisiaco il nostro primo approccio con la Polinesia sono i prezzi, spesso esosi, di alberghi, beni di consumo e servizi. L’alto costo della vita deriva dallo squilibrio della fiscalità a favore delle imposte indirette: ogni prodotto d’importazione viene difatti pesantemente tassato per alimentare gli introiti del governo.

Polinesia Isole Marchesi, la baia di Ua Pou
Polinesia Isole Marchesi, la baia di Ua Pou

Tra valli, picchi e cascate

Rassegnatici all’idea che il nostro soggiorno nel sud del Pacifico non sarà dal punto di vista economico “una passeggiata”, ci lanciamo alla scoperta dei tre principali arcipelaghi: Isole della Società, Tuamotu e Marchesi che, insieme a Gambier e Australi formano la Polinesia, “territorio d’oltremare francese”, dotato di parziale autonomia governativa.
Lasciata Papeete ci addentriamo con un’escursione in jeep nell’entroterra di Tahiti: valli lussureggianti, formate da un unico vasto cratere vulcanico, sono attorniate da picchi che si elevano sino a 2241 m. Decine di cascate ingentiliscono il paesaggio maestoso. In particolare ci impressiona la storia legata alla cascata Tupuri (tradotto in “casca e muori”) da cui venivano lanciati i prigionieri di guerra delle tribù nemiche.

I tatoo, pratica antica

Tornando a Papeete visitiamo il mercato locale, dove non mancano gli atelier per il tatuaggio artistico. Daniel, un giovane tatuatore, ci mostra un’inesauribile serie di disegni, molti dei quali risalgono a tempi antichi, quando nella Polinesia pre-colonica si praticavano incisioni indelebili sulla pelle come segno di appartenenza ad un clan, come rito iniziatico o riconoscimento sociale, oltre che come semplice ornamento.
Questa pratica, diffusa in diverse civiltà, ha raggiunto un elevato livello artistico e culturale proprio tra le genti Ma’ohi (Hawaii-Isole Marchesi-Nuova Zelanda), anzi la stessa parola tatuaggio deriva dal tahitiano “tatau” che significa, appunto, incisione indelebile sulla pelle. Prima di lasciare la capitale della Polinesia visitiamo Il Museo di Tahiti e delle Isole. Tra innumerevoli reperti e oggetti d’uso quotidiano pre e post coloniali, sono qui conservate anche le prime tavole da surf della storia. Questo sport fu difatti inventato a Tahiti e poi, attraverso le Hawaii, raggiunse l’Occidente diventando subito molto popolare.

Moorea: acque cristalline e vegetazione strepitosa

Un brevissimo volo e siamo già a Moorea, l’isola che vanta tra le sue bellezze una tra le più spettacolari baie del mondo, quella di Cook, dal nome del famoso esploratore del Pacifico.
I versanti montuosi, ricchi di vegetazione, scivolano dolcemente nelle acque cristalline della laguna, racchiusa dalla barriera corallina. Con entusiasmo partecipiamo ad un’escursione in barca che prevede il tipico “pasto alle razze“, in una zona della laguna dove l’acqua non supera il metro e mezzo. Decine di grandi e docili razze si avvicinano in cerca di cibo, volteggiando intorno a noi come eleganti farfalle.

Polinesia pasto alle razze
Polinesia pasto alle razze

La serata si rivela altrettanto piacevole: al costo di un semplice drink possiamo assistere, in uno dei grandi hotel di lusso di Moorea ad uno spettacolo di danze polinesiane in tipico costume di fibre vegetali. Lontano dall’essere semplicemente uno svago per i turisti, la danza tradizionale mantiene tutt’oggi una forte valenza culturale e simbolica, con regole e coreografie precise.
Due i balli principali: l’otea, danza collettiva caratterizzata da potenza, ritmo e dall’ipnotico suono di tamburi e percussioni e l’aparima che racconta storie e leggende attraverso la mimica ed i canti accompagnati da chitarre e ukulele.
Una delle principali feste di Tahiti, “l’Heiva I Tahiti”, che si svolge tra fine giugno e fine luglio, prevede una serie di concorsi di danze tradizionali alle quali partecipano gruppi provenienti da tutti gli arcipelaghi della Polinesia francese.

Polinesia danzatoriMatrimonio polinesiano

Decisamente più kitsch, ma molto romantico il matrimonio indigeno formato turista, organizzato dal Tiki Village Theatre. Per una cifra compresa tra i 1000 ed i 1700 euro la coppia, agghindata in abiti principeschi, viene condotta al cospetto del celebrante su una “lettiga reale” sorretta da quattro “guerrieri polinesiani”.
Dopo la cerimonia sulla spiaggia, con suggestiva cornice di canti e balli tradizionali, è prevista una crociera in piroga accompagnata da champagne e suonatori di ukulele. Il tutto termina con una romanticissima prima notte di nozze da trascorrere in una grande casa su palafitta sulla laguna.
Sembrerà strano, ma questa cerimonia ha, in territorio Polinesiano, un effettivo valore civile, confermato da un documento scritto su “tapa”, una particolare stoffa non tessuta ricavata dalla corteccia dell’albero del pane o del gelso.

Bora Bora

Lasciamo la romantica Moorea per la “perla” delle Isole della Società, la fin troppo mitizzata Bora Bora. Effettivamente la sua laguna è splendida, come anche l‘entroterra ricco di vegetazione tropicale, ma quest’isola, ormai votata completamente al turismo, ha in parte perso la sua anima tradizionale.
Non esistono quasi più gli antichi “fare”, le abitazioni tipiche poggiate direttamente sul suolo e costruite in materiale vegetale.
I piccoli villaggi hanno casette in muratura, cemento o compensato di legno e tetti in lamiera ondulata, più adatta a sopportare i cicloni. Solo i grandi e lussuosi alberghi dell’isola mantengono un’architettura in stile tradizionale che ben si adatta con l’ambiente. Deserti, selvaggi e immacolati sono però i “motu” (isolotti bianchi ricchi di palme da cocco), che punteggiano la laguna color turchese di Bora Bora.

Polinesia Resort a Moorea, Isole della Società
Prima di lasciare l’arcipelago delle Isole della Società, decidiamo di fare una capatina alla piccola isola di Maupiti dove giungiamo dopo un movimentato viaggio di 3 ore in barca, in balia delle onde del pacifico. Visitiamo questa graziosa isola in bicicletta rimanendo colpiti dall’usanza degli abitanti di sotterrare ancora oggi i propri morti nel giardino di casa.
A Maupiti, come d’altronde in altre isole meno turistiche, non esistono infatti i cimiteri e così lapidi e fiori fanno da cornice ad ogni abitazione.
Altrettanto caratteristici i numerosi cartelli con la scritta “tabu“, posti davanti alle proprietà private. La parola tabu, di origine polinesiana, indicava in tempi antichi un‘interdizione assoluta ed i trasgressori erano severamente puniti.

Un altro volo ci porta alle isole Tuamotu, l’arcipelago che, per ben 30 anni, è stato scenario degli esperimenti nucleari francesi, effettuati a Moruroa e Fangatanfa. Scegliamo per il nostro soggiorno alle Tuamotu, la splendida Rangiroa, atollo corallino costituito da strette lingue di terra al cui interno è racchiusa una laguna cristallina e ricca di pesci.
Le Tuamotu sono il paradiso dei sub; i più esperti amano immergersi nell’oceano quando la corrente è rientrante verso la laguna per lasciarsi trasportare attraverso i pass, canali naturali che mettono in comunicazione le acque interne con quelle dell’oceano. Gianmarco decide che Rangiroa è il posto giusto per il suo “battesimo” con il mare, una “passeggiata marina” a 5-6 metri di profondità, seguita da un rassicurante istruttore, mentre io mi diletto nel mio primo snorkeling (immersione senza bombole), un’esperienza bellissima.
Nel silenzio ovattato, mi godo lo spettacolo offerto da centinaia di pesci multicolore che vengono a prendere il cibo direttamente dalle mie mani. Un’escursione in motoscafo ci porta, poi, all’Ile aux Recife di Rangiroa, isolotto circondato da affioramenti di coralli e lava a cui l’azione erosiva del vento e del mare hanno dato forme appuntite e bizzarre.
Il paesaggio è reso ancora più suggestivo dalla miriade di piscine e vasche naturali che brillano tra le varie formazioni coralline.
Altrettanto affascinante l’escursione alla famosa laguna blu di Rangiroa, un bacino d’acqua color turchese delineato da una serie di idilliaci isolotti bianchi.
Dopo un gustoso pranzetto a base di pesce crudo al latte di cocco, una delle specialità locali, possiamo assistere al famigerato pasto agli squali, un banchetto che rischia però di diventare sin troppo abbondante quando un “paffuto” turista francese, sceso in acqua per immortalare la scena con la sua macchina fotografica subacquea, si avvicina troppo alle esche lanciate dai marinai, ritrovandosi, con terrore, la bocca di uno squalo, per fortuna piccolo, su una spalla.

Polinesia squaletti nelle acque di Rangiroa
Polinesia squaletti nelle acque di Rangiroa

Le perle polinesiane

Prima di lasciare Rangiroa visitiamo un allevamento di ostriche perlifere. Le perle polinesiane possono essere di qualità A-B-C-D. Più imperfezioni (solitamente piccoli buchi) hanno, più la loro qualità è scadente. Più ci si può “specchiare” dentro, più la loro qualità risulta alta. Impossibile resistere alla tentazione, ed esco soddisfatta dall’atelier con la mia piccola ma lucente perla nera polinesiana.

Le selvagge isole Marchesi

Ancora un volo e raggiungiamo le remote isole Marchesi, dove trascorsero gli ultimi anni della loro vita il pittore Paul Gauguin ed il cantante-poeta Jacques Brel, i cui resti sono sepolti al cimitero di Hiva Oa. Selvagge e ancora poco battute dal turismo, le Marchesi emergono maestose dalle acque blu cobalto dell’oceano. Cime frastagliate si alternano ad altipiani verdeggianti dove regnano incontrastati branchi di cavalli selvaggi di antica origine cilena.
Tralasciando le spiagge, purtroppo infestate dagli endemici e fastidiosissimi moscerini “nono”, ci dedichiamo alla visita dei siti archeologici: “marae”, luoghi di culto costituiti da grandi piattaforme e terrazze pavimentate, enigmatci “tiki”, statue sacre antropomorfe scolpite in blocchi di basalto, legno o tufo vulcanico, “pae pae“, altre piattaforme in pietra sulle quali venivano un tempo edificate le abitazioni in materiale vegetale. Questi siti vengono restaurati soprattutto in occasione del Festival delle Marchesi, evento creato nel 1978 dall’associazione Motu Haka (riunione) dell’isola di Ua Pou. La manifestazione, che si svolge ogni 4 anni, intende valorizzare l’identità marchesana, salvaguardando e promuovendo diversi aspetti della cultura locale: danze, canti, artigianato, sport tradizionali e gastronomia.

Lasciata Nuku Hiva, la principale delle isole Marchesi, visitiamo Ua Pou, il cui nome, non a caso, significa “I Pilastri”. L’entroterra è difatti caratterizzato dai profili scoscesi di dodici “torri” basaltiche che conferiscono all’isola un aspetto decisamente bizzarro. Sull’isola sono presenti numerosi resti archeologici di notevole interesse e misteriosi sentieri di pietra che nei secoli addietro univano gli insediamenti delle tribù che vivevano qui.
Ua Pou è rinomata anche per i suoi numerosi atelier artigiani, sistematicamente svaligiati dai turisti-passeggeri dell’Aranui, il cargo che 15 volte l’anno raggiunge le Marchesi partendo da Papeete. I numerosi laboratori propongono abiti “missione“, le tuniche fiorite e ricche di pizzi e balze, introdotte dai missionari al tempo dell’evangelizzazione della Polinesia, parei dipinti, oggetti in madreperla incisa, nonché sculture in osso, pietra e legno.

Come risparmiare in Polinesia

E’ possibile acquistare già dall’Italia un pass aereo che permette di visitare diverse isole anche in arcipelaghi diversi. Esistono varie tipologie di pass, i più costosi includono anche le Tuamotu e le isole Marchesi, ma sono comunque sempre più convenienti rispetto all’acquisto di singole tratte.
Tutti gli itinerari dei voli iniziano e finiscono a Tahiti o Moorea. Le isole possono essere visitate in qualsiasi ordine, in base all’operatività dei voli.
Si può rendere inoltre meno caro il viaggio in Polinesia scegliendo di alloggiare nei semplici ma caratteristici cottage e guest house gestiti dai polinesiani, e non nei resort, quasi tutti di lusso. Nel pacchetto è quasi sempre inclusa la cena, ottima e abbondante. Questa opzione, scelta anche da me e Gianmarco, garantisce un’autentica esperienza polinesiana a contatto con la classica e calda ospitalità dei locali.

Claudia Meschini

Un commento su “Il mio giro del mondo. Diario di una viaggiatrice seriale: la Polinesia

  1. Grazie per farci vivere con te in questi paradisi! Descrizioni particolareggiate che destano emozioni!!!


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Tag:  viaggi