Ci siamo passati tutti, non lo si può negare. I meno giovani al cinema e poi via via, a scalare a seconda dell’anno di nascita, attendendo la trasmissione in tv, comprando o noleggiando la videocassetta, poi il dvd, fino all’attuale epoca dello streaming on demand. Da “Biancaneve e i sette nani” del 1937 in giù, i grandi classici dell’animazione prodotti e realizzati da Walt Disney fanno a pieno titolo parte del patrimonio della formazione delle nuove generazioni.
Sentimenti, risate e spunti di riflessione che adesso, però, rischiano di essere “vietati” ai più piccoli. La colpa? In capolavori dell’animazione come ad esempio “Dumbo” (1941) o “Gli Aristogatti” (1970), ma non solo, ci sono scene in cui si può ravvisare un latente fondo di razzismo.
Il divieto di Disney+
È stata la stessa Disney, riconoscendo un “impatto dannoso”, a inserire la limitazione d’accesso ad alcuni titoli sulla sua piattaforma interattiva “Disney+”. Lo sbarramento è stato inserito solo per gli account riferiti ai bambini sotto i 7 anni. Saranno dunque alla fine i genitori a decidere se far vedere o meno il film ai propri figli, di qualunque età. Ma dopo essere stati avvisati, prima della visione, che “Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture”.
Il problema si era già posto circa un anno e mezzo fa, con l’avvio della piattaforma di streaming negli Stati Uniti, dove la sensibilità su certi temi è ancora molto elevata. Allora la Disney optò per l’etichettatura del film come “outdated cultural depictions”. Ovvero: “rappresentazioni culturali obsolete”. A dichiarare, insomma, che la storia è frutto di una società diversa da quella multirazziale dei giorni nostri. Un messaggio del resto già lanciato dalla Walt Disney Pictures con la svolta del 1995, quando l’eroina di “Pocahontas” fu per la prima volta una nativa americana.
Alcune scene incriminate
Il passaggio ritenuto razzista in “Dumbo”, ad esempio, è la scena dei corvi che omaggiano l’oltraggiosa esibizione in cui alcuni menestrelli bianchi con la faccia dipinta di nero sbeffeggiano gli schiavi di colore sfruttati nelle piantagioni degli stati meridionali del Paese. E gli stessi corvi potrebbero essere una parodia degli schiavi neri d’America.
Non corvi, ma gatti (siamesi) sono invece al centro delle accuse per altre due pellicole. In “Gli Aristogatti”, Shun Gon, il pianista dagli occhi a mandorla della band di randagi; in “Lilli e il vagabondo” (1955) alcuni perfidi siamesi (per tacere delle caricature dei cani messicani e russi). In questi casi, le scene potrebbero offendere soprattutto gli asiatici, rappresentati attraverso cliché potenzialmente razzisti.
C’è poi “Peter Pan” (1953), con i suoi caricaturali “pellirosse”, ovvero i nativi americani. E gli indigeni verrebbero irrisi anche in “Robinson nell’isola dei corsari”, film per famiglie prodotto da Disney nel 1960. Ricco di possibili pregiudizi etnici anche “Il Libro della Giungla” (1967), con i suoi palesi richiami, musicali e nei movimenti interpretati da una scimmia, ai ritmi del jazz dei neri di New Orleans.
Alberto Minazzi