Il 10 marzo del 1946 è una data storica per le donne. Andarono infatti quel giorno, per la prima volta, al voto.
Dopo la caduta del fascismo, c’era un’Italia da ricreare e tutte le donne dai 21 anni in su poterono esercitare il diritto di esprimere la propria preferenza alle elezioni. Non solo.
In base al decreto legislativo luogotenenziale n.74 del 10 marzo 1946, anche le donne al di sopra del 25° anno di età furono ritenute eleggibili all’Assemblea Costituente.
A proporre che anche le donne potessero votare erano stati, l’anno precedente, il 30 gennaio 1945, Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana) e Palmiro Togliatti (Partito Comunista).
Non tutti erano favorevoli. Alcuni esponenti del Partito liberale, del Partito d’Azione e del Partito Repubblicano si dichiararono contrari.
Ma l’1 febbraio 1945 la discussione fu chiusa con l’emanazione del decreto legislativo che, di fatto, riconosceva il diritto al voto delle donne, a eccezione delle prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.
L’emancipazione femminile negli anni
Un grande passo in avanti che apre le porte all’emancipazione femminile, che in altri paesi europei e negli Stati Uniti esisteva già da anni prima. Il primo Stato nel mondo a garantire il diritto di voto alle donne fu la Nuova Zelanda nel 1893.
Prima, due sono state le occasioni ufficiali in cui si registrano donne al voto: l’Epoca della libertà svedese, tra il 1718 e il 1772 (in forma molto ristretta) e nella Repubblica di Corsica tra il 1755 e il 1769.
La Gran Bretagna introdusse il suffragio universale nel 1918 (diritto riservato però alle sole donne over 30) e nel 1928 venne tolto il limite.
Negli Stati Uniti, con limitazioni di censo e alfabetizzazione, invece si iniziò nel 1920.
Valentina Rossi