Tiziano Terzani in uno dei suoi dispacci ha descritto Angkor come “…uno di quei pochi, straordinari luoghi del mondo dinanzi ai quali ci si sente orgogliosi d’essere membri della razza umana; uno di quei posti dove la grandezza è in ogni pietra, in ogni albero, in ogni boccata d’aria che si respira”. Avevo acquistato in un chiosco a Pagan, in Birmania, un libro usato scritto dal grande viaggiatore e reporter fiorentino. I Paesi descritti nel suo romanzo autobiografico “Un indovino mi disse” erano in parte gli stessi che stavo attraversando durante il mio viaggio intorno al mondo. Una coincidenza fortuita ma emozionante che mi ha permesso di assaporare meglio quanto i miei occhi vedevano.
Prima tappa: Phnom Penh
Anche io e Gianmarco, come Terzani, a breve, avremmo visitato Angkor, l’antica città Khmer, ma la nostra prima tappa alla scoperta della Cambogia, è stata la capitale, Phnom Penh, un luogo che offre al visitatore alcune interessanti attrazioni. E’ molto piacevole, ad esempio, passeggiare tra le ville coloniali francesi ed i viali alberati del centro, o visitare il bel palazzo reale con la sua Pagoda d’Argento strutturata a piani rivestiti di piastrelle di argento massiccio (se ne contano ben 5329). Il complesso, composto da nove diversi edifici costruiti alla fine del 1800, è visitabile solo parzialmente in quanto alcuni ambienti sono ancora oggi utilizzati dalla famiglia reale. Io e Gianmarco restiamo stupefatti dallo sfarzo della sala del trono e dalla collezione di statue d’oro, di cui una, impreziosita da circa 10mila diamanti, raffigura il Buddha in dimensioni reali.
Usciti dal Palazzo Reale visitiamo il Museo nazionale con il suo scenografico tetto appuntito di colore rosso. Nelle sue sale è ospitata una fra le più grandi collezioni d’arte della cultura Khmer di tutta la Cambogia: sculture, ceramiche, artigianato appartenenti all’impero Khmer dal periodo preistorico fino al declino di Angkor.
Phnom Penh ha sofferto terribilmente sotto il brutale dominio di Pol Pot e dei Khmer Rossi, un regime che ha causato, tra il 1975 ed il 1979, oltre un milione e mezzo di morti. E nessun viaggio nella capitale cambogiana può ritenersi completo se non si è compreso appieno l’effetto che quelle atrocità hanno ancora sulla città di oggi, dove si possono tuttora incontrare uomini e donne mutilati dalle mine antiuomo risalenti al regime ed ai successivi conflitti interni nel Paese.
Il Museo di Tuol Sleng, una ex scuola convertita in una prigione dai Khmer Rossi, è una tappa fondamentale ed io e Gianmarco, sia pur un po’ titubanti, avendo già avuto modo di visitare Dachau, in occasione di un precedente viaggio in Baviera, decidiamo di vedere il luogo che racconta la storia del genocidio cambogiano. La visita al Toul Sleng Genocide Museum Khmer consente infatti di saperne di più su questo capitolo dolorosamente importante nella storia della Cambogia. Nell’ex campo di sterminio, oggi museo della memoria, vennero rinchiusi, torturati e uccisi migliaia di presunti oppositori del regime maoista di Pol Pot.
Seconda tappa: Siem Reap
Lasciata la capitale un breve volo ci porta a Siem Reap, cittadina ubicata tra le rovine di Angkor Wat e il grande Lago di Tonle Sap, nel nord-ovest del Paese. Nata come semplice villaggio, oggi Siem Reap è la città a più rapida espansione di tutta la Cambogia, luogo di sosta per i due milioni di viaggiatori che ogni anno visitano le rovine di Angkor, simbolo della Cambogia medievale. ll centro si sviluppa intorno allo Psar Chaa (Mercato Vecchio), mentre gli alberghi sono dislocati in tutta la città.
Lo street food abbonda ovunque, tra bancarelle e ristorantini all’aperto. Sperimentiamo vari piatti, dalla colazione cambogiana (da noi adottata come pranzo), ovvero la ciotola di riso fumante con carne di maiale, ai noodles (tagliatelle di riso) saltati in padella con verdure e gamberi, fino all’elaborato amok di pesce, un piatto cotto al forno o al vapore avvolto in foglie di banano ed esaltato dalla crema di cocco con curry locale. Sperimentiamo anche alcuni piatti di ispirazione francese, retaggio in Indocina del periodo della colonizzazione, e persino una fragrante e ancora calda baguette.
Siem Reap è anche il posto giusto per concedersi l’acquisto di un gioiello in oro a 750 carati, arricchito da pietre preziose locali, non scintillanti come quelle che possiamo trovare nelle nostre gioiellerie, ma comunque naturali e certificate. Mi concedo quindi, a poco più di 160 dollari (meno di 150 euro), un braccialetto in oro, zaffiri e rubini che, fortunatamente, una volta tornata a Venezia, viene confermato come autentico.
Terza tappa: Angkor
Con un breve tragitto di circa 6 km in túk-túk a motore raggiungiamo il sito di Angkor, che conserva i resti di diverse capitali dell’Impero Khmer dal IX al XV secolo. Considerando l’ampiezza del sito (circa 400 km² includendo una zona boschiva), acquistiamo un biglietto d’ingresso valido tre giorni, tra i più cari al mondo insieme a quello di Petra, in Giordania. Alcuni templi di Angkor, tra cui Angkor Wat, sono patrimonio mondiale dell’Umanità Unesco dal 1992 e, allo stesso tempo sono collocati nella lista dei patrimoni mondiali in pericolo a causa di saccheggi e di un turismo non sostenibile che li sta deupaperando.
Negli ultimi anni l’Unesco ha istituito un programma di ampio respiro per salvaguardare questo luogo simbolico e i suoi dintorni. A prima vista, i templi appaiono devastati dal tempo e da secoli di abbandono, poi una visita più accurata consente di apprezzarne i particolari. Le costruzioni principali sono circa un’ottantina ma in totale nell’area vi sono centinaia di templi induisti e buddisti, per quanto di molti esistano solo tracce o rovine costituite da modeste pile di mattoni. Quelli più visitati sono stati ripuliti dalla vegetazione e in larga misura ricostruiti a partire dal Novecento, nel periodo della dominazione coloniale francese. Il tempio più conosciuto è il famoso Angkor Wat, considerato il più vasto edificio religioso del mondo, la cui effigie stilizzata compare nella bandiera cambogiana.
I monumenti visibili hanno tutti carattere religioso perché gli edifici comuni, compresa la residenza reale, erano costruiti in materiali deperibili quali il legno e ne sono sopravvissuti solo pochi resti. Ovunque la natura si insinua tra i templi, ed è frequente la vista di gigantesche radici e tronchi che convivono in simbiosi con le antiche rovine, come gli enormi banyan abbarbicati alle antiche pietre del Ta Phrom, il tempio che meglio rappresenta lo stato di Angkor al momento della sua scoperta, quando la natura aveva ancora il sopravvento su questo affascinante sito archeologico. Invaso dalla giungla, con radici aggrappate alle pietre come enormi serpenti, il Ta Phrom è il tempio apparso nel film “Tomb Raider” del 2001.
Davanti alle sue sorprendenti rovine facciamo un incontro che ci fa capire quanto, talvolta, la voglia di viaggiare e di conoscere il mondo sia più forte di ogni impensabile difficoltà. Lì davanti all’ingresso del Ta Phrom c’è infatti lo stesso ragazzo in sedie a rotelle e respiratore che avevamo incontrato due settimane prima in Thailandia, durante un’escursione in barca alla baia di Phang Nga, set del film “L’uomo dalla pistola d’oro”, della serie 007. Due accompagnatori stanno esaudendo il desiderio di questo coraggioso ragazzo di conoscere il sud-est asiatico nonostante il suo gravissimo handicap.
Una guida locale, pagata pochi riel, la moneta cambogiana, ci racconta alcune curiosità sul sito. Le strutture di Angkor sono altamente simboliche. Il concetto indù più importante è il tempio-montagna, costruito come una rappresentazione del mitico Monte Meru: questo è il motivo per cui così tanti templi, tra cui anche Angkor Wat, sono circondati da fossati ed eretti in forma piramidale simili ad una montagna e sormontati da cinque torri, che rappresentano i cinque picchi del Monte Meru. Anche il linga (fallo), che rappresenta il dio Shiva, è un aspetto cruciale e sebbene i linga siano in gran parte spariti, le sue forme (in intarsi o in blocchi di pietra) possono essere trovate in molte, se non tutte le stanze degli antichi edifici. Tra i templi visitati ci colpisce il Bayon con i suoi enigmatici volti di pietra (ben 216) che decorano le sue torri.
E’ il preludio alla visita di Angkor Wat, tempio-città, simbolo nazionale della Cambogia. Dall’ingresso principale, una strada in arenaria rialzata sul fossato porta all’interno del muro perimetrale. Attraversando i cortili si raggiunge la torre centrale: la bellezza, la vastità e l’imponenza di Angkor Wat è ingentilita dalla presenza di raffinati bassorilievi, alcuni dei quali raffigurano le leggiadre danzatrici dell’Apsara, una danza di corte nata intorno al 1000 e sviluppatasi all’epoca di Angkor e che ancora oggi viene interpretata da brave danzatrici in occasione di cene offerte dai grandi alberghi o nei locali d’intrattenimento.
Ultima tappa: il lago Tonlè Sap
Prima di lasciare la Cambogia, per volare verso l’Australia, visitiamo il lago Tonlè Sap con il suo animatissimo villaggio di pescatori, costruito su palafitte e grandi imbarcazioni. Tonlè Sap, a soli 15 km da Siem Reap, è il più grande lago di acqua dolce del sud-est asiatico, un luogo ricchissimo di ogni tipo di pesce e di una varietà impressionante di uccelli. Non stupisce, quindi, che, dal 2001, questa regione sia stata dichiarata “riserva della biosfera” da parte dall’Unesco, giusta legittimazione all’unicità di un luogo apprezzato da un numero sempre crescente di persone. Il riconoscimento è al contempo un passo concreto verso la sua tutela e la protezione dei villaggi galleggianti che ne costeggiano le rive.
Gli abitanti di queste minuscole città sull’acqua traggono dal Tonlé Sap tutto quello di cui necessitano, vivendo, per lo più, di attività come la costruzione di barche, la pesca e l’allevamento di gamberetti, di cui gustiamo una generosa porzione durante la nostra gita in barca. Lungo le “strade acquatiche” poggiano le modeste case a palafitta, così come costruite su palafitte sono anche il tempio, la palestra e la scuola che festosi bambini in divisa bianca e blu raggiungono ogni giorno autonomamente in barca.
Documenti per entrare in Cambogia
Per entrare in Cambogia è richiesto un visto che può essere richiesto direttamente alla frontiera, al Phnom Penh International Airport o al Siem Reap International Airport, al costo di 30 dollari. Per essere più tranquilli, la soluzione ideale è richiederlo online prima della partenza al costo di 30 dollari (cui vanno aggiunti 6 dollari di commissione); la scadenza è fissata a 90 giorni dopo l’emissione e permette un soggiorno di 30 giorni nel Paese (rinnovabile solamente per un mese aggiuntivo). Prima di procedere accertarsi di possedere una recente fototessera formato digitale (JPG/JPEG/PNG) di max 2MB, la scansione del passaporto (formato PDF) e la carta di credito (Mastercard o Visa, non accettata American Express).
Claudia Meschini
*Foto in evidenza: Phnom Penh, uno degli edifici del Palazzo Reale