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Super staminali per combattere il cancro. Forse anche il Covid

Super staminali per combattere il cancro. Forse anche il Covid
Cellula Natural Killer al microscopio confocale

Potrebbe arrivare dalla ricerca italiana una risposta per la cura non solo del cancro, ma anche del Covid.
I ricercatori dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e dell’Università di Genova hanno individuato infatti due nuove cellule staminali super-efficienti nella produzione delle cellule “natural killer” (NK) che difendono l’organismo dall’aggressione dei patogeni. Compreso, forse, il virus Sars-CoV-2.

Le cellule natural killer

Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Allergy and Clinical Immunology, prende le mosse dalla scoperta, effettuata qualche anno fa da un team  di scienziati coordinati dai professori Lorenzo Moretta e Andrea De Maria, di uno dei due “precursori di linfociti” che accelerano la produzione delle cellule NK: le natural killer.
Quella messa in atto dal sistema immunitario è infatti una sorta di “scorciatoia” per rifornire più rapidamente l’organismo. Ma le “cellule natural killer” durano pochi giorni e, in presenza di infiammazioni serie, nella battaglia contro il virus si esauriscono rapidamente. Per portarne a maturazione di nuove, ci vogliono normalmente dalle 8 alle 10 settimane.
Ebbene, queste due staminali (tecnicamente lo è una sola) riducono invece il periodo necessario a 3 settimane scarse.

Il professor Lorenzo Moretta
Il professor Lorenzo Moretta

Il blocco delle metastasi

“Il loro funzionamento – spiega il responsabile della ricerca immunologica dell’ospedale romano, Lorenzo Moretta – è legato all’uccisione della cellula infettata per evitare che da una sola cellula l’infezione si possa diffondere ad altre migliaia. È un meccanismo che ha dimostrato di funzionare sulle cellule tumorali, prevenendo in particolare la formazione di metastasi. Sono infatti cellule particolarmente efficienti: inserite in sistemi con il virus del citomegalovirus, ad esempio, hanno dimostrato di essere in grado di ridurre di 1.000 volte il rilascio del virus”.

Le super staminali e il coronavirus

Va detto: quella relativa al Covid-19 è solo una parte secondaria della ricerca. Realizzata in collaborazione anche con altri centri di ricerca (tra cui l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar di Valpolicella, nel Veronese), parte infatti dallo studio di altre malattie come HIV, epatite C e infezione da  citomegalovirus.
Le premesse, però, sono estremamente incoraggianti. Nei pazienti contagiati dal Covid-19 sono stati infatti riscontrati numeri particolarmente elevati di queste nuove cellule staminali.
“È chiaro – premette Lorenzo Moretta – che se si riesce a bloccare il virus con le prime barriere derivanti da un’immunità innata è molto meglio. Ci sono però molti aspetti che devono ancora essere chiariti, e lo stiamo facendo, studiando in particolare asintomatici e paucisintomatici”.

Un modo per conoscere meglio il Covid

“Dato che queste cellule hanno una forte attività contro i virus e le cellule tumorali – spiega Moretta – sono potenzialmente molto interessanti anche per comprendere meglio il Sars-Cov-2. Al momento posso fare una riflessione, suggerita dai primi dati preliminari ma tutta da verificare. C’è cioè da aspettarsi che chi è in grado di sviluppare tante di queste cellule staminali particolari si difenda meglio dal virus. Dal punto di vista razionale, avere una potente barriera immunitaria innata può essere la spiegazione di queste differenze”.

Conoscere meglio il Covid può aiutare anche la cura dell’infezione. “Non si può pensare all’utilizzo di queste cellule – riprende Moretta – come terapia routinaria che si può trovare in farmacia, perché la somministrazione di terapie cellulari come questa sarebbe possibile solo in laboratori ben attrezzati e iperspecializzati. Ma si possono trovare farmaci che stimolino questo processo naturale dell’organismo. O, per lo meno, sapere a priori come andrà a finire la malattia potrebbe rappresentare un criterio prognostico, che conduca a prendere provvedimenti, come l’eventuale somministrazione di steroidi, per evitare i danni permanenti legati all’iper-infiammazione generata dal coronavirus”.

Alberto Minazzi

 

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