Polmoniti, certo. Ma anche patologie renali, epatiche e cardiache.
E’ ancora presto per dire se il Coronavirus lasci uno stigma sugli organi che ha colpito.
Una cosa però è certa: sul campo di battaglia ha lasciato tante tracce di cui, i corpi vinti, conservano segni plurimi.
In molti casi è stato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso in situazioni già compromesse. In altri, però, sembra aver determinato combinazioni di infezioni sfociate in diverse patologie.
E’ questo il quadro abbozzato dallo studio basato sulle autopsie effettuato dall’Unità operativa cardiovascolare dell’Azienda ospedaliera di Padova diretta da Cristina Basso.
Lo studio basato sulle autopsie: una premessa
Lo studio, premette la dottoressa Basso, è assolutamente in divenire e ci vorrà quindi ancora del tempo per arrivare a conclusioni scientifiche confermate. Aggiunto alla routine quotidiana, si basa sulle richieste di autopsie avanzate dai medici di alcuni reparti come rianimazione, pronto soccorso o malattie infettive.
Non si tratta insomma di esami effettuati a tappeto su tutti i decessi legati al Covid-19 avvenuti a Padova, ma solo di una quota parte di questi. Si procede dunque a raccogliere dati, per aggiungerli a quelli derivanti dalla cinquantina di casi esaminati in questi mesi. “C’è ancora molto da fare. E speriamo alla fine di capire meglio questo virus”. Alcune indicazioni, in ogni caso, sono già emerse.
Le cause di mortalità da Covid-19 secondo le autopsie
Il punto specifico dell’individuazione delle cause che hanno fatto derivare un decesso dall’infezione da coronavirus è ancora piuttosto delicato. “In molti casi – spiega Basso – i pazienti ricoverati presentavano già patologie pregresse, anche tumorali. Per questo possiamo dire che in questi pazienti l’infezione ha quindi aggravato la situazione, diventando una concausa. Così come possiamo affermare con sufficiente certezza che, qualora non ci fossero altre patologie acclarate, negli altri casi a condurre alla morte sono quasi sempre problemi polmonari”.
Non solo polmoni
Dalle autopsie, però, non si stanno raccogliendo dati legati solo alle cause di morte. “Questa – riprende la professoressa dell’Azienda ospedaliera – è una malattia infettiva di cui si sa ancora poco. È evidente che l’organo che colpisce principalmente è il polmone e l’intero apparato respiratorio. Ma è anche vero che il virus, una volta entrato nell’organismo, gira al suo interno e dà danni sistemici. Non bisogna cioè guardare solo al danno diretto al polmone, ma alla possibile somma di diverse infezioni, evitando che queste non virino verso altre patologie”.
A Padova si sta dunque mettendo in campo un approccio multidisciplinare, coinvolgendo diversi specialisti di anatomia patologica: da quelli che si occupano di polmoni, ai gastroenterologi, visto che il virus ha avuto anche conseguenze a livello epatico e renale. Fino a quello cardiovascolare, di cui si sta occupando nello specifico la direttrice dell’unità operativa.
Covid e cuore
A livello cardiaco, così, si è potuto riscontrare un effetto singolare, legato all’infezione da Covid. “Come il nostro – spiega Cristina Basso – tantissimi lavori, anche statunitensi, hanno evidenziato nei pazienti positivi un aumento di troponina, un enzima cardiaco che è il classico marker di un infarto miocardico. In realtà, si tratta però di un imitatore, che indica come le cellule del cuore stiano soffrendo, pur senza che sia in corso un infarto”.
Il Covid-19, cioè, provoca un’infiammazione del muscolo cardiaco e la tendenza a formarsi di microtrombi nei vasi. Lo confermano i risultati degli esperimenti padovani, che sono stati pubblicati a ottobre dall’European Heart Journal insieme a quelli portati avanti anche da altre realtà come Boston-Harvard o Amsterdam. “Questo – commenta il medico – può avere ricadute importantissime, spingendo ad applicare una terapia antitrombotica, per cercare di ridurre con i farmaci la risposta infiammatoria”.
Covid e infarto
In realtà, sia pure in forma indiretta, una certa correlazione tra coronavirus e morte per infarto c’è.
“In effetti – evidenzia Basso – è capitato alcune volte che i pazienti-Covid siano stati colpiti da infarto o ictus che non sono stati curati adeguatamente, quasi come si fosse tornati indietro di 50 anni rispetto ai progressi della medicina. Ma questo si deve più che altro alla paura di uscire di casa, legata al coronavirus, delle persone, che non si sono recate nei reparti di emergenza, quando avrebbero potuto trovarvi adeguata assistenza. Ritengo quindi che, tra le altre, sarebbe interessante fare un’analisi anche dell’aumento della mortalità per malattie cardiovascolari e neoplastiche dovute a questo tipo di situazioni”.
Il Covid nei cadaveri
Un ultimo aspetto a cui gli studiosi padovani stanno provando a dare una risposta è quello della presenza di un virus potenzialmente contagioso nelle salme. “Alcuni studi che ancora non abbiamo pubblicato – rivela Basso – mettono in evidenza la presenza, nel cadavere, di acido nucleico del Sars-Cov-2. Ma devo dire che nessuno dei tre patologi dell’Azienda ospedaliera, compresa la sottoscritta, o dei tecnici che hanno lavorato a queste autopsie hanno contratto il virus. Che dunque è latente nel corpo del deceduto, ma probabilmente non è in grado di infettare altri soggetti”.
Alberto Minazzi