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Lavoro e futuro. Storie di italiani all'estero: l'Inghilterra di Camilla del Fabbro

Lavoro e futuro. Storie di italiani all'estero: l'Inghilterra di Camilla del Fabbro
Camilla del Fabbro e il marito Chris italiani all'estero

Londra.Capitale di un vecchio impero che ancora oggi detta regole in campo finanziario, artistico e nella moda.
Una metropoli che, dice Camilla del Fabbro, 35enne originaria di Tolmezzo, è così grande che per raggiungere la zona Est dalla Ovest, dove vive, ci si impiega un’ora e mezzo.
Camilla è laureata in Scienze Politiche, indirizzo internazionale.
Dopo un Erasmus, il conseguimento del titolo all’Università di Padova e l’iscrizione all’Istituto di Politica Internazionale (ISPI) di Milano ha deciso di trasferirsi in Inghilterra.
«Sono partita nel settembre del 2014. Dopo un’estate passata a inviare curriculum senza ricevere risposta, ho deciso di raggiungere una delle mie migliori amiche che lavorava a Bournemouth, città marinara del sud dell’Inghilterra. Avevo già le idee chiare: avevo un biglietto di sola andata e due valigie, ma anche tanti sogni e progetti».

La scelta di Londra

È così che inizia l’avventura di Camilla in Gran Bretagna. Sei mesi dopo l’atterraggio a Bournemouth, un altro trasferimento.
La nuova meta è Londra, metropoli che aveva apprezzato già nell’estate 2003 dopo un corso di formazione. «Non ho mai avuto problemi a farmi capire: nonostante l’inglese lo masticassi, il primo impatto non è stato facile perché parlare una lingua che non è la tua 24 ore al giorno ti stanca. Ora, dopo oltre sei anni, posso dire di essere diventata quasi bilingue. Mi aiuta anche mio marito Chris, scozzese. La mia vita è espressa solo in inglese».

Centro di Londra italiani all'estero
Centro di Londra italiani all’estero

Questo però non vuol dire che ho perso la mia italianità: a casa si mangia mediterraneo, si prepara il tiramisù e quest’anno, a capodanno, sono riuscita a far mangiare a un britannico zampone, lenticchie e polenta. Più padano di così!».

La facile ricerca di un lavoro stabile

Camilla è una persona intraprendente. Arrivata a Bournemouth ha trovato lavoro dapprima come cameriera e a Londra come croupier in un casinò.
«Tre mesi e due giorni dopo essere atterrata qui per la prima volta mi sono ritrovata con un contratto a tempo indeterminato – dice- Questo mi ha permesso di potermi creare una vita stabile, di non dover rincorrere contratti mensili e di poter pianificare il mio futuro. Grazie a un piano governativo dedicato a chi compra la prima casa, io e mio marito siamo riusciti anche ad acquistare un appartamento bicamere».

Il verde dietro casa di Camilla e Chris
Il verde dietro casa di Camilla e Chris

Un’attenzione da parte dello Stato che ha contribuito a far considerare Londra come un ambiente ottimale, in cui costruire un futuro sereno.
«L’idea di vivere e di poter far crescere i miei figli in una città multietnica e piena di opportunità come Londra mi fa capire di aver fatto la scelta giusta – asserisce infatti Camilla – Nonostante la nostalgia e la maggior difficoltà di incontrare le mie amiche e, ovviamente, la mia famiglia in Italia. Io abito in zona Ovest, mentre le mie tre più care amiche abitano tutte ad Est, quindi a un’ora e mezza di distanza. Anche quando i nostri orari lavorativi coincidono è molto difficile organizzarsi per trovarsi in centro perché ci vuole per tutti un’ora ad andare ed un’ora a tornare a casa.È difficile vedersi con costanza e regolarità».

Compleanno al pub, per non sentirsi lontani da casa italiani all'estero
Compleanno al pub, per non sentirsi lontani da casa italiani all’estero

La Brexit: “una pugnalata alla schiena”

In questi ultimi mesi ci sono due fatti che ci hanno portato a guardare con interesse a Londra: la gestione della pandemia e l’entrata in vigore degli accordi tra UK e UE sulla Brexit.
«La Brexit è stato per me un capitolo doloroso – ricorda Camilla – La notte del referendum di quel 23 giugno 2016, l’attesa dei risultati e la faccia sorridente di Nigel Farage, il leader dei favorevoli alla Brexit, apparso alle 6 della mattina alla BBC per poi darsela a gambe. Non ho dormito per la delusione. Per tutta la mattina ho fissato il soffitto chiedendomi perché gli inglesi avessero tanto astio nei confronti degli europei. Per me e per tanti altri è stata una pugnalata alla schiena, uno schiaffo ricevuto da tutti coloro con cui lavoravamo ed eravamo a stretto contatto tutti i giorni. Con il tempo ce ne siamo fatti una ragione, ma all’inizio è stato traumatico».

Londra-di-notte italiani all'estero
Londra-di-notte

Il Coronavirus

Poi è arrivato il Covid-19. All’inizio preso sottogamba, qualcosa che sembrava distante, fisicamente e psicologicamente.
«Ricevevo telefonate e notizie dall’Italia, dove la situazione peggiorava sempre di più, i voli dall’Inghilterra verso l’Italia venivano cancellati e il panico cominciava a dilagare. Abbiamo subito le prime restrizioni al lavoro ai primi di marzo, quando avevamo cominciato a introdurre distanze di sicurezza tra i giocatori. Ma in quel momento il premier Boris Johnson continuava a ripetere di stare tranquilli, che noi, a differenza dell’Europa, dovevamo creare l’immunità di gregge. Da quel momento è stato un incubo. Ho un ricordo, indelebile, dell’ultima serata di spensieratezza. Era la festa di San Patrizio, ero al pub, non c’erano distanziamenti, mascherine o guanti, ma solamente alcool a fiumi. Poi è cambiato tutto».

La pandemia in Regno Unito ha assunto livelli drammatici per contagi e vittime.
Mentre in Italia la situazione sta pian piano migliorando, in Gran Bretagna, nonostante una campagna vaccinale più avanzata, la situazione resta difficile.
«Il lockdown in Inghilterra non è stato così ferreo come in Italia – racconta -. Noi abbiamo sempre avuto la possibilità di uscire per fare esercizio fisico e l’utilizzo della mascherina è diventato obbligatorio solamente a giugno. Ciononostante, la gente è rimasta poco incline a indossarla. I più preoccupati e allo stesso tempo diligenti erano gli europei, che intuivano il disastro sanitario grazie alle notizie che ricevevano da casa».

I ristori inglesi

Il governo Johnson non ha dato una risposta efficace per limitare l’espansione dell’epidemia, ma è stato competente con la risposta sul piano sociale.
«Io e mio marito infatti siamo stati fortunati: nonostante il nostro casinò abbia chiuso da marzo ad agosto e abbia operato a singhiozzo fino alla nuova chiusura di metà dicembre, la cassa integrazione è entrata regolarmente tutti i mesi. Non sono molto favorevole al governo Johnson ma devo ammettere che qui nessuno è stato lasciato indietro, a differenza dell’Italia. Ricevo racconti orribili da parte di amici e familiari che faticano ad arrivare alla fine del mese perché non ricevono la cassa integrazione».

Ivan Bruno Zabeo

 

 

 

 

 

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